Another World Now! Esserci qui e ora: cronaca di un progetto tra arte e attivismo
di Francesca Guerisoli
Genova, 19-22 luglio 2001
In occasione del G8, migliaia di manifestanti provenienti da tutto il mondo che si riconoscevano nel movimento no-global, nato a Seattle nel 1999, si riversarono nelle strade di Genova per criticare la globalizzazione e affermare diritti fondamentali dell’essere umano. Quei giorni vengono ricordati soprattutto per la violenza dei Black Block che misero a ferro e fuoco la città e la dura repressione delle forze dell’ordine su manifestanti pacifici e inermi, che segnò la fine del movimento no global, primo movimento globale della storia. Ancora oggi, a distanza di vent’anni, è difficile aprire un confronto su che cosa siano stati quei giorni, e lo è soprattutto nella città di Genova, colpita alle radici da quella che è stata una delle vicende più tristi della storia della democrazia nel mondo occidentale dal dopoguerra a oggi. Nonostante le ricostruzioni e le sentenze che negli anni si sono succedute, prima tra tutte quella della Corte europea dei diritti dell’umanità di Strasburgo, che ha condannato l’Italia per quei fatti, molti guardano ancora al “popolo di Genova” come a degli stolti visionari. Ma proprio Carlo Cottarelli, che nel luglio del 2001 era al Fondo monetario internazionale, considerato il “nemico” numero uno di chi protestava contro il neoliberismo sfrenato, in un’intervista di Giuseppe Colombo pubblicata il 6 luglio 2021 sull’Huffington Post ammette che “quei movimenti guardavano in avanti e chi allora guidava l’economia e la finanza internazionale si rendeva solo in parte conto dell’entità dei fenomeni che stavano accadendo”.
Genova, 19-22 luglio 2021
Come è cambiato il mondo a distanza di vent’anni?
Nell’estate del 2020 immaginavo un intervento artistico a Genova in occasione del ventennale del G8, privo di tono celebrativo o commemorativo: l’intento era di puntare l’attenzione sulla memoria di quei giorni per guardare al presente e al prossimo futuro. L’input me lo aveva fornito un corso di aggiornamento professionale dell’Ordine dei Giornalisti sull’Agenda2030 (“L’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”), realizzato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (AsviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) con il contributo di Fondazione Lars Magnus Ericsson e Fondazione Unipolis. Il corso affrontava i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs – Sustainable Development Goals), approvati nel settembre 2015 dalle Nazioni Unite, che dovranno essere realizzati a livello globale entro il 2030. Le narrazioni e le analisi descritte nel seminario, seppur con i dovuti distinguo, mi hanno ricondotta ad alcune istanze del movimento no-global. Non sono un’economista né un’analista di processi sociali; ho letto con i miei mezzi gli eventi passati, presenti e le previsioni future pensandoli collegati. Ho condiviso con le colleghe, che risiedono a Genova, Carlotta Pezzolo dell’associazione Chan Arte e Anna Daneri, l’intenzione di produrre e curare un progetto artistico collettivo nella città nei giorni del ventennale. Da quel momento, abbiamo lavorato collettivamente, con grande slancio e positività. I tempi erano stretti, il budget di realizzazione, seppur limitato, non era ancora coperto da sponsor né da mecenati; i bandi pubblici e le possibili richieste di finanziamento tramite fondazioni ex bancarie erano ormai inaccessibili per il poco tempo che separava il progetto dalla sua messa in opera. Ci sono progetti che però vanno fatti anche senza avere la sicurezza della copertura finanziaria. Questo è uno di quelli e noi eravamo ben consapevoli che, se non avessimo trovato i finanziatori, ci saremmo auto-tassate. Qualche tempo dopo, ci è stata avanzata la proposta di stage di una neo-economista ambientale, Maria Giovanna Lahoz, che avevo conosciuto al convegno “La sostenibilità nella cultura, nell’arte e nello sport”, tenuto al Teatro Pomodoro di Milano il 5 giugno 2021 a chiusura del master di II livello organizzato da Università di Milano Bicocca e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. L’apporto di Maria Giovanna Lahoz è stato utilissimo e ci ha permesso di approfondire le questioni legate al tema dalla sua disciplina specifica.
Dopo una serie di riflessioni, letture e riunioni, abbiamo messo a punto il titolo e il concept: Another World Now (Un altro mondo adesso). Il titolo riprende il motto del movimento no-global “Un altro mondo è possibile”, che già nella mostra che dieci anni prima, in occasione del decennale del G8 e co-curata con Stefano Taccone a Palazzo Ducale di Genova, sempre con l’associazione Chan come partner, avevamo ripreso volgendolo nell’interrogativa “Un altro mondo è ancora possibile?”. Dopo vent’anni, non può essere più “solo” una proposta alternativa, né una domanda, ma è una necessità urgente: “Un altro mondo è necessario”. Dunque, vent’anni fa, lo slogan “Un altro mondo è possibile” segnava la distanza tra ciò che era e ciò che avrebbe dovuto essere. Tra lo status quo e l’orizzonte di un mondo diverso. Una polarità talmente ambiziosa che rischiava di creare un solco tra realisti e sognatori, tra un mondo che in fondo avremmo dovuto accettare e un altro impossibile da costruire. Quelle stesse tesi che hanno informato i movimenti no-global, che erano considerate il frutto del pensiero di irriducibili visionari, oggi occupano il cuore dell’agenda mondiale. Da questa considerazione è nato Another World Now, dalla necessità di avviare un confronto collettivo attraverso l’arte nella consapevolezza di trovarci in un momento storico di estrema fragilità aggravata dalla pandemia da Covid-19. Il progetto si è misurato con l’eredità dei movimenti no-global a vent’anni dal G8 di Genova con lo sguardo rivolto all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile perché questa non resti solo una “bella promessa” ma un insieme di azioni concrete.
Non è stato semplice collegare Genova 2001 e l’Agenda2030 senza cadere nella retorica. Così come non era nostra intenzione celebrare l’Agenda2030 come la salvezza, ma al contrario guardarvi con l’attenzione di cittadini attivi. Nel comunicato stampa di Another World Now abbiamo espresso il concept del progetto:
Sull’idea di un mondo diverso si basa l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, descritta come programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, che comprende 17 goal suddivisi in 169 traguardi da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030. Tali obiettivi, se realmente perseguiti, rappresenterebbero una base comune da cui partire per costruire un mondo diverso – come recita l’Agenda – e dare a tutte e tutti la possibilità di vivere su un pianeta sostenibile. Il programma coinvolge ogni componente della società e mira a porre fine alla povertà, a lottare contro ogni forma di ineguaglianza, di discriminazione razziale e a ridurre il gap di genere. L’Agenda si propone di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo incentivando uno sviluppo economico inclusivo e assicurando un utilizzo sostenibile delle risorse e dell’ecosistema terrestre. Questi traguardi auspicati paiono guardare, seppur da lontano, a certe istanze dei movimenti no-global; un’integrazione istituzionalizzata delle suggestioni di autori e autrici (quali, ad esempio, Naomi Klein o Vandana Shiva) che hanno ispirato le ideologie del movimento. Compito della società civile sarà quello di monitorare che questi obiettivi ambiziosi e al tempo stesso perseguibili vengano raggiunti, nella consapevolezza che un altro mondo non è più solo possibile, ma necessario e praticabile. Another World Now si pone dunque tra la possibilità e la praticabilità; è la maturazione e la maturità di un processo e dice della necessità di una messa a terra, politica, istituzionale, culturale, del cambiamento. Chi meglio degli artisti, che fanno della possibilità la propria stella, può pensare altri mondi?
L’iscrizione di Another World Now alla rete “Genova 2001 vent’anni dopo: un altro mondo è necessario”, ci ha permesso di entrare a far parte del programma steso con oltre 30 associazioni della società civile, nazionali e locali che hanno messo a punto il palinsesto delle iniziative svolte tra il 18 e il 22 luglio in luoghi diversi della città, dal centro alle periferie: da Palazzo Ducale, al Circolo dell’Autorità Portuale, dai Giardini Luzzati a Music for Peace.
Le azioni di Another World Now sono cresciute man mano che il progetto prendeva forma. Avevamo scartato quasi subito l’ipotesi di fare una mostra in uno spazio dell’arte, perché l’intenzione era di calarsi nel vivo della città, tra i cittadini, e non di rivolgersi solo al pubblico dell’arte. Avevamo il problema di dover contenere il più possibile il budget, almeno fino all’arrivo dei primi sponsor che ci garantivano la messa in opera del progetto nei suoi elementi essenziali. Abbiamo invitato a partecipare al progetto venti artisti che nel loro lavoro affrontano da anni temi quali la parità di genere, l’ecologia e la lotta al cambiamento climatico, la giustizia, la pace, la fratellanza tra popoli, le città sostenibili, l’attivismo per i diritti umani: Giorgio Andreotta Calò, Simona Barbera, Ruth Beraha, Gabriella Ciancimino, Ronny Faber Dahl, Elena Bellantoni, Chto Delat, Circolo Bergman, Leone Contini, Dora García, Domenico Antonio Mancini, Elena Mazzi/Eduardo Molinari, Marzia Migliora, Chiara Mu, Giuseppe Stampone, Serena Porrati, Oliver Ressler, Beto Shwafati, The Cool Couple. Un dato non di poco conto è che nessun artista ha rifiutato l’invito, sebbene non fosse previsto alcun rimborso spese né tantomeno un compenso. Il progetto si è declinato in performance, azioni urbane, cartoline postali, affissioni e proiezioni video diffusi nella città di Genova, tra le strade cittadine, l’ex cinema porno Gioiello (divenuto spazio culturale, allora ancora da inaugurare), lo spazio espositivo dell’associazione Chan: (...) gli artisti si calano nella città di Genova interrogando la possibilità e la necessità di cambiamento. Lo scarto, gli elementi senza valore di mercato, la riscrittura della storia ammettendo esclusioni fatte sulla base del genere e/o dell’etnia, il nuovo regime relazionale instaurato dalla pandemia, la delocalizzazione dei luoghi, la riflessione sulle tecnologie e i loro risvolti “oscuri”, le temporalità diffuse di un pianeta interconnesso sono tra i temi che guidano gli artisti e le artiste di questo progetto.
Abbiamo stampato 6.000 cartoline che recano le venti opere selezionate e sul retro i dati essenziali del progetto e il concept di ogni singolo lavoro. Le cartoline sono state distribuite in città nei giorni delle manifestazioni del ventennale, a Palazzo Ducale, sede dei convegni realizzati dalla rete delle associazioni capitanata da Amnesty International, a Music for Peace, altra sede che in quei giorni ha visto susseguirsi incontri, spettacoli e dibattiti e si potevano trovare anche da Chan, dove aveva luogo anche la mostra bi-personale di Simona Barbera e Ronny Faber Dahl. Centinaia di cartoline erano già state affrancate con l’obiettivo di recapitarle in alcuni luoghi istituzionali, come il Parlamento europeo e quello italiano, le università e i luoghi di cultura, nonché ad alcune personalità che hanno ruoli importanti e decisionali nella discussione sull’ambiente, l’immigrazione, la parità di genere.
I mecenati e gli sponsor, alla fine, sono arrivati e ci hanno permesso di ristampare le cartoline e di dar vita a una campagna di affissione a doppio canale, pubblica e privata, nonché ad offrire un alloggio nel centro storico per gli artisti che avessero voluto venire in città in quei giorni. Genova è stata così “invasa” dai poster dei venti artisti, che recavano unicamente l’immagine dell’opera senza alcun elemento che riconducesse al progetto o a un nome. La scelta, da parte nostra, di non fornire identificazioni andava nella direzione di creare uno scarto nella visione, abituati come siamo a vedere in quegli spazi iniziative commerciali. I poster liberavano lo sguardo da quell’obiettivo, creando uno sfasamento, una domanda: di che cosa si tratta? Tra le venti immagini ce n’erano alcune più narrative e altre più astratte. Il caso ha voluto che, proprio in Piazza De Ferrari, la piazza su cui si affaccia Palazzo Ducale, sede del vertice del G8 del 2001, sia stato installato dalla società di affissioni incaricata il poster che Giuseppe Stampone aveva realizzato appositamente per il progetto, in ricordo di Carlo Giuliani e del popolo di Genova (Made in Italy, 2011, Penna Bic su carta, 100x70 cm, oggi nella collezione di Eugenio Viola). Tra i momenti più coinvolgenti del progetto ci sono stati quelli che abbiamo definito di “affissioni condivise”: nel centro storico (i “carruggi”), armate dei poster e di adesivo, abbiamo incontrato i residenti e i commercianti informandoli del progetto e chiedendo loro se volessero scegliere un poster. Con entusiasmo, un buon numero di commercianti ha accolto la proposta, ha fornito le superfici per le affissioni (vetrine, muri, porte) e si è preso cura dei poter nei giorni successivi. Chi si fosse imbattuto in una di queste immagini, in città, e poi fosse venuto a Palazzo Ducale, avrebbe avuto le risposte alle domande che il poster gli avrebbe posto. Nel cortile maggiore di Palazzo Ducale, nei giorni del ventennale, era trasmesso in loop un video che presentava lo slide show del progetto complessivo con i venti poster e le relative descrizioni. Le affissioni comunali, però, non sono andate come avevamo pianificato. Pare ci sia stato un impedimento da parte dell’ufficio competente che ha fatto sì che i manifesti non venissero affissi nei giorni concordati (e già pagati), così le affissioni del circuito pubblico, che interessavano le zone periferiche della città, sono avvenute la settimana successiva. Ovviamente, abbiamo posizionato il progetto anche nei canali social Instagram e Facebook creati per l’occasione, aggiornandoli quotidianamente, così come sul sito dell’associazione Chan.
La collaborazione a Another World Now dell’ex cinema Gioiello per uno screening video ha permesso inoltre di organizzare tre serate, il 18, 19 e 20 luglio, che hanno visto protagonisti i lavori di Chiara Mu, P&V (Police and Violence), 2009 e Acqua (Water), 2021, Elena Bellantoni, Corpomorto, 2020 e The Fox and the Wolf: Struggle for power, 2014; Beto Shwafaty, Afastando el pueblo. Fantasmas de la riqueza, 2015-2016; sei video di Oliver Ressler della serie Everything’s coming together while everything’s falling apart, 2016-2020 e il collettivo russo Chto Delat (Nikolay Oleynikov Dmitry Vilensky Olga Tsaplya Egorova) con Learning Station #2, “Free Home University”, People of Flour, Salt, and Water, 2019.
Infine, le azioni e le performance in città. Chiara Mu, Circolo Bergamn e Giorgio Andreotta Calò hanno realizzato tre azioni, due inedite e un reenactment. Rispettivamente, Acqua/Water, performance relazionale in cui Chiara Mu ha collaborato con il regista documentarista Angelo Loy, l’azione Traccia di Circolo Bergman e Tracciato del cammino percorso a Genova la notte del 21 luglio 2013 di Giorgio Andreotta Calò.
Chiara Mu ha agito Acqua/Water tra il 14 e il 15 luglio 2021 e che successivamente ne ha tratto un video che è stato proiettato all’ex Cinema Gioiello. L’intento dell’artista era di compiere un atto di cura, di restituire ai genovesi l’acqua ricevuta dai manifestanti durante il corteo del 21 luglio 2001: “La città, descritta dai media per mesi e mesi come ostile e chiusa, ci ha al contrario abbracciato con atti spontanei di accoglienza e solidarietà, e il più rilevante è stato far piovere acqua da balconi e finestre per farci respirare e andare avanti in un›afa infernale, nella polvere e nella pesantezza di una morte appena avvenuta. Ventanni dopo, intendo invitare ogni abitante dei palazzi di quel percorso a condividere un bicchiere d›acqua con me, ragionando sulla storia e le memorie che abbiamo condiviso nella diversità̀ delle nostre esperienze”. Le reazioni dei genovesi interessati dal progetto sono state delle più varie e hanno mostrato quanto sia ancora aperta la ferita dei fatti di vent’anni fa.
Circolo Bergman ha intervistato nelle settimane precedenti sette persone che, a vario titolo, presero parte al G8 e ha rivolto loro la domanda su come fosse cambiato il mondo da allora. Tra gli intervistati vi erano manifestanti che provenivano da altre regioni, insegnanti, animatori culturali, un organizzatore della marcia sull’immigrazione e infine un appartenente alle forze dell’ordine. Per ogni intervista è stata creata una traccia audio per cui era stato creato un Qr code stampato su adesivo. I sette adesivi, stampati in centinaia di esemplati, sono stati applicati su diverse superfici in città, dal centro storico al porto, fino alla Scuola Diaz. Scansionando il singolo Qr code, si veniva portati alla traccia audio dell’intervista di circa 60 secondi ognuna. Le sette tracce, ascoltate complessivamente, restituivano un racconto variegato di quei giorni, a distanza di vent’anni dopo. Giorgio Andreotta Calò, la notte del 21 luglio, insieme a un gruppo di persone che si sono aggregate, ha rieditato l’azione che aveva fatto nel 2013, a conclusione di un cammino compiuto insieme a un gruppo di giovani artisti del maXter del Museo di Villa Croce di Genova. Con il gruppo, Calò percorse i 200 km da Genova al simbolico limite di Ventimiglia, con l’intento di formare un movimento e un “corpo sociale” che avrebbe infine attraversato Genova nella notte dell’anniversario del G8. L’esperienza fatta il 21 luglio 2021 è stata fortissima; a piedi, di notte, nelle strade teatro della protesta, il gruppo si è mosso coeso, silenzioso.
Un dato rilevante: tutto il progetto è stato offerto al pubblico gratuitamente. Alla fine, con tenacia e creatività, siamo riuscite nell’intento di realizzare un progetto artistico diffuso mosse dalla necessità di esserci, di percorrere Genova nel ventennale del G8 attraverso la nostra specificità, la nostra visione e quella degli artisti che hanno partecipato condividendo l’iniziativa con noi. Ci sono eventi in cui condizioni avverse quali tempi stretti, amministrazioni pubbliche sfavorevoli, difficoltà di reperire sponsor ci portano a pensare che sia impossibile procedere nell’ideazione di un progetto. Invece, tali ostacoli possono essere superati e Another World Now ne è un esempio concreto. Il lavoro per noi curatrici è stato incalzante, ma condiviso con passione: un progetto che sembrava impossibile, è stato non solo possibile, ma anche più ampio di quanto avevamo immaginato. Un altro mondo è possibile. Anzi, necessario.
Direttrice artistica del MAC Museo d’Arte Contemporanea di Lissone. Guida il programma espositivo di Fondazione Pietro e Alberto Rossini, incentrato su nuove produzioni. Collabora al programma curatoriale della Quadriennale di Roma ed è nella redazione del trimestrale “Quaderni d’arte italiana” (Treccani). Insegna “Arte e Architettura”, “Linguaggi della Fotografia” e “Musei, mostre d’arte e turismo” all’Università di Milano-Bicocca.