Arte e tecnologia: da oggi l'arte è morta?
di Alessia Panella
Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°6, Ottobre 2019
Il rapporto tra arte e tecnologia ha una lunga tradizione. Già nell’antica Grecia vi era una stretta correlazione tra arte, così come la si intende oggi, e tecnica, che emerge dal significato della parola téchne.
Lo stesso Leonardo da Vinci esprimeva la stretta correlazione che esiste tra pittura (arte), natura e scienza. Egli sin da allora credeva in quella che si chiamerebbe oggi contaminazione tra i saperi.
L’evoluzione scientifica e tecnologica avvenuta negli ultimi vent’anni ha fortemente influenzato la società e conseguentemente anche il modo di concepire l’opera d’arte. E non poteva che essere così visto che, per usare le parole di Jean Cocteau, «il genio (e tale per la scrivente è un artista) è solo la punta estrema del senso pratico».
La società e l’arte oggi ci pongono di fronte a opere che sono il frutto di sperimentazioni tecnologiche tanto che ci interroghiamo se esse siano vere opere d’arte. Esse a volte sono così rivoluzionarie che dal punto di vista giuridico si scontrano con un tessuto normativo spesso fermo ad un concetto di «arti» più tradizionale.
Del resto la stessa rivoluzione tecnologica si verificò nell’arte tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 con l’avvento della fotografia prima e del cinema dopo. Detta tecnica anziché condurre alla morte della pittura1, come si disse, fu ispirazione per movimenti moderni quali il dadaismo, il surrealismo, lo spazialismo. Tuttavia all’epoca vi fu una querelle tra coloro che vedevano nel nuovo mezzo, la fotografia, il semplice prodotto di una macchina e coloro che ne scorgevano le potenzialità artistiche. La storia ha consacrato la fotografia nell’empireo delle arti e nessuno oggi oserebbe mettere in dubbio che i lavori di Man Ray o di altri illustri fotografi siano opere d’arte. Tuttavia solo molto più tardi la normativa sul diritto d’autore regolamentò anche la fotografia.
Il pensiero va al Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione di Lucio Fontana che nel 1952 affermava «noi spazialisti trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte, basate sui concetti dello spazio … ci sentiamo gli artisti di oggi poiché le conquiste della tecnica sono ormai a servizio dell’arte che noi professiamo».
La realtà di oggi ci pone quindi di fronte ad una ennesima rivoluzione e ad opere realizzate da artisti/scienziati che ci conducono verso linguaggi nuovi, a volte sconvolgenti o lontani dal concetto di opera d’arte intesa in senso tradizionale. Oggi come allora, la realtà si evolve più velocemente delle regole e l’artista, il collezionista o il gallerista si trova a confrontarsi con lavori realizzati da software, con nuovi metodi di autenticazione dei capolavori artistici e con modalità di trasmissione della proprietà che seguono i nuovi trend del mercato finanziario. Infatti, nonostante l’opera d’arte sia un bene che si compravende per l’artista e per il pensatore essa è un bene inestimabile e non quantificabile in danaro. Costoro amano confrontarsi con il nuovo, contaminare e sperimentare.
Il collezionista appassionato o il mecenate mai si è posto di fronte ad un artista che gli sottoponeva una nuova tecnica pensando in termini economici, o solo economici, e chiedendosi se al prezzo dell’opera corrispondesse una valida tutela del diritto d’autore o se l’opera avrebbe perso valore. Tuttavia oggi l’arte è divenuta una forma di investimento e/o di speculazione quindi vi è una cultura del diritto che impone una regolamentazione del mercato.
Esiste ancora fortunatamente chi acquista opere immateriali e non si sconvolgerebbe all’idea di acquistare opere prodotte da computer, ma questa è un’altra storia che ha a che fare più con la filosofia, con i motivi che spingono le persone a comprare arte e a possederla. Nello svolgere qualche osservazione giuridica circa i rapporti tra diritto, tecnologia e arte trovo interessante focalizzare l’attenzione su due argomenti: opere d’arte create dall’intelligenza artificiale e blockchain nel mondo dell’arte. Quest’ultima merita una approfondita analisi in quanto su questa piattaforma possono transitare opere d’arte digitali nuove e diverse da quelle tradizionali che pongono nel campo del diritto problemi interpretativi nuovi.
Intelligenza artificiale ed opere d’arte
La prima domanda - più filosofica che tecnologica – è: può l’Intelligenza Artificiale creare arte? O meglio, invertendo i termini: possono essere considerate opere d’arte quelle realizzate completamente dall’Intelligenza Artificiale (AI) ovverosia dalle macchine senza l’ausilio dell’uomo? La questione non è di poco conto se si pensa che solo all’opera d’arte creativa ed originale si applica la normativa sul diritto d’autore, con tutte le ovvie conseguenze giuridiche.
Detta disquisizione giuridica non è una novità per il diritto d’autore e per l’arte. Molti sono stati e sono oggi gli artisti/scienziati che si sono cimentati con la tecnologia e con la creazione di opere digitali o create attraverso l’ausilio, l’apporto o la produzione di macchine.
Del resto l’intelligenza artificiale da sempre ha affascinato registi, scrittori, artisti. Si pensi solo al mito di Frankenstein e all’anelito dello scienziato alla creazione della vita. Gli esperti di diritto d’autore si sono sempre chiesti se siano artistiche le opere create dalle macchine. E oggi che l’evoluzione scientifica ha raggiunto livelli inesplorati negli anni passati, sicché assistiamo ad opere create da un computer - con maggiore o minore apporto «creativo» di chi le ha costruite, pensate e programmate -, sorgono timori e dubbi.
Tuttavia non si può non registrare che mai come nell’ultimo anno tra gli studiosi del diritto dell’arte si sono susseguiti dibattiti, convegni e scritti scientifici sul tema.
Quid novi?
In verità l’attenzione del mondo dell’arte e dei cultori della materia si è focalizzata di recente sul tema dopo che Christie’s, nell’ottobre 2018, ha venduto all’asta l’opera “Portait of Edmond Belamy” per la considerevole somma di 423.500 dollari. L’opera ha la caratteristica di essere stata creata da una macchina mediante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale con un algoritmo e poi stampata. Il sistema è stato realizzato dal collettivo francese Obvious che ha utilizzato la tecnica GAN (generative adversarial network), sviluppata dal ricercatore Ian Goodfellow per Google Brain. Detta tecnica consiste nell’utilizzo di due reti: una che genera immagini e l’altra che le seleziona, facendo una cernita tra quelle che appaiono reali e quelle che già prima facie sembrano false. È ormai noto a tutti gli esperti del settore che il collettivo ha utilizzato un software al quale ha fornito algoritmi e 15.000 ritratti realizzati dal quattordicesimo al ventesimo secolo ed il sistema ha prodotto in modo autonomo delle opere. Tant’è che si è parlato di opera prodotta autonomamente dall’intelligenza artificiale.
La novità è che mai prima un’opera non creata dall’uomo era stata venduta ad una somma così considerevole e mai la vendita era avvenuta nella maggiore casa d’asta alla presenza dell’intero mondo dell’arte. Certo si era disquisito se potesse essere considerata opera d’arte una foto scattata dal macaco Naruto2 , quindi prodotta da un animale, giungendo a negarne giuridicamente la possibilità, ma il fatto è stato epocale.
In quel momento è stato chiaro a tutti che qualcosa è cambiato, che si è di fronte ad un evento straordinario e rivoluzionario: nel tempio dell’arte è entrata l’Intelligenza Artificiale quale entità capace di un autonomo processo creativo. Ed infatti Ugo Caselles Dupré3 ha subito affermato «Troviamo che i ritratti rappresentino il modo migliore per illustrare il nostro punto di vista secondo il quale gli algoritmi sono in grado di simulare la creatività».
Quanto alle conseguenze giuridiche è necessario anzitutto distinguere le opere d’arte create dall’artista attraverso l’utilizzo dell’AI, per le quali è chiaro l’apporto creativo dell’artista al quale spetta la tutela del diritto d’autore, da quelle create in via autonoma dall’AI. In questo caso si tratta dell’utilizzo di opere create dalle cd. Learnig Machines attraverso l’utilizzo di algoritmi.
Molte le possibili considerazioni giuridiche. Le più interessanti però sono due:
- Le opere create dalle macchine in via autonoma sono creative ed originali e quindi sono oggetto di tutela da parte della normativa sul diritto d’autore?
- Chi può essere considerato il titolare dei diritti d’autore: il costruttore della macchina, il creatore del software, il proprietario della macchina o la macchina stessa?
Occorre subito precisare che il tema è ancora scarsamente frequentato dalla giurisprudenza internazionale e nazionale, mentre è stato ampiamente dibattuto in dottrina. Per rispondere al primo quesito occorre analizzare la normativa in materia.
La dottrina maggioritaria ritiene che la normativa internazionale in subjecta materia, principalmente la Convenzione di Berna, accordi tutela all’opera originale proveniente dalla sola persona fisica. Conformemente, la dottrina nazionale maggioritaria ritiene che sia da interpretare nello stesso senso l’articolo 1 della Legge sul Diritto d’Autore che definisce opere d’arte quelle «opere dell’ingegno di carattere creativo». Per la dottrina maggioritaria dunque solo la possibilità di ricondurre un bene creato dalla cd. IA al procedimento creativo di un autore persona fisica consente di attribuirne la «paternità» e dunque lo rende oggetto di copyright.
Per detta dottrina pertanto nel rispondere aduprlla domanda: Quando si è in presenza di arte qualora l’opera sia il prodotto dell’AI? È dirimente stabilire se l’opera sia il prodotto, quand’anche secondario, dell’artista/ tecnico/ programmatore. La la linea di confine stà nel rinvenire a monte del processo «produttivo» della macchina la programmazione «creativa» di un soggetto umano che sarà l’autore dell’opera.
Quanto alla giurisprudenza, la Corte di Giustizia UE ha pronunciato la sentenza cd. Infopaq4 nella quale si legge che che «Un atto compiuto nel corso di un procedimento di raccolta dati, consistente nella memorizzazione informatica di un estratto di un’opera tutelata composto da undici parole e nella stampa del medesimo, può rientrare nella nozione di riproduzione parziale ai sensi dell’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/ CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, qualora gli elementi in tal modo ripresi siano l’espressione della creazione intellettuale del loro autore, il che dev’essere verificato dal giudice del rinvio»
Quindi per la Corte l’opera d’arte creata attraverso la memorizzazione informatica per essere tale deve costituire espressione della creazione intellettuale dell’autore ovverosia di una persona fisica. Conformemente ci sono espresse le corti di altri paesi di Civil Law tra cui Francia, Italia Spagna.
In Francia, in particolare, la Suprema Corte è costante nel considerare opere d’arte quelle che presentino il requisito dell’originalità, intesa come inprinting della personalità dell’autore, a cui devono essere riconducibili i processi della macchina5.
Nello stesso senso negli Stati Uniti il Copyright Office ha espressamente dichiarato che possono essere registrati solo lavori originali degli autori che siano stati creati da persone umane e ha aggiunto che non registrerà lavori prodotti da macchine che operano random o automaticamente, senza alcun apporto creativo dell’autore. Comunque la Corte Suprema nella sentenza Feist Publications, Inc., v. Rural Telephone Service Co. del 1991, nel pronunciarsi sull’individuazione del copyrightable work ha superato il criterio fino a quel momento seguito e basato sul riscontro del c.d. sweat of the brow (traducibile in sudore della fronte).
Nei Paesi di common law a volte le soluzioni sono state diverse.
L’Inghilterra ad esempio è stata nel tempo più ambigua. Nel famoso caso Walter v. Lane la House of Lords ha deciso che un impiegato del Times era da considerarsi l’autore di un discorso pronunciato da Rosemary il quale non lo aveva precedentemente scritto. Il giornalista «skill and labour» lo aveva abilmente trascritto e poi pubblicato e detta abilità lo ha reso autore del discorso. La Camera dei Lords in quel caso ha affermato il principio per cui «un autore può esistere anche senza produrre qualcosa di originale». Oggi in Inghilterra l’art. 9 co. 3 del Copyright Design and Patent Act del 1988 ha disciplinato la materia bypassando il concetto di originalità e stabilendo che il diritto d’autore sulle opere generate dalle macchine con AI appartiene a chi ha organizzato le funzioni della macchina.
De jure condendo, nei vari forum e convegni che si sono tenuti nell’ultimo anno in buona sostanza la maggioranza dei «cultori» del diritto dell’arte afferma che prima del robot vi è sempre un «creatore», un deus ex machina, che ha creato algoritmi, che ha immesso immagini e al quale quindi si attribuiscono non solo i diritti morali e patrimoniali del copyright ma pure eventuali responsabilità.
E non potrebbe essere altrimenti in quanto, a meno che non vengano costruite macchine in grado di superare il test di Turing, o le sue versioni moderne, e quindi non siano costruite macchine in grado di riflettere, pensare e provare emozioni, ci sarà sempre un soggetto titolare del diritto d’autore delle opere d’arte provenienti da macchine «istruite» per fare questo. L’autore sarà di volta in volta, a seconda delle leggi nazionali, colui che ha programmato il software, il committente, il proprietario del macchinario. Sino ad allora ci troveremo a riflettere guardando un film come The Imitation Game o Ex machina.
Al di là delle dissertazioni giuridiche, a noi - che siamo collezionisti prima che giuristi - pare che sicuramente la sperimentazione dell’AI sia già di per sé opera d’arte, frutto di un pensiero geniale, altro e lontano dalle disquisizioni basate su investimenti e speculazioni.
Blockchain e diritto dell’arte
Prima di trattare del tema dell’applicabilità delle opere d’arte create per le piattaforme blockchain occorre innanzitutto darne una definizione.
Di recente il Tribunale di Firenze con la sentenza n. 18 del 21.01.2019 – pronunciata in conformità all’orientamento della costante dottrina - ha definito la criptovaluta come «la rappresentazione informatica di un valore, decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé. Le criptovalute vengono implementate su reti i cui nodi sono computer di utenti disseminati in tutto il globo. Su questi computer vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di portamonete» cd. wallet.
La sentenza poi definisce la blockchain come «un database delle operazioni, come libro mastro distribuito, generalmente gestita da una rete peer-to-peer che aderisce collettivamente a un protocollo per la convalida di nuovi blocchi. Una volta registrati con un particolare sistema di marcatura temporale (timestamping), i dati in un dato blocco non possono essere modificati retroattivamente senza la modifica di tutti i blocchi successivi, il che» richiederebbe «la collusione della maggioranza della rete». Detto sistema fa si che la criptovaluta possa essere coniata da qualunque utente e sia sfruttabile per compiere operazioni di scambio, possibile grazie ad un software open source e ad una rete peer-to-peer.
Quindi per blockchain in sostanza si intende una catena di blocchi digitali contenenti informazioni circa una particolare transazione e può essere programmata per annotare non solo informazioni finanziarie ma anche di altro genere e può consentire il trasferimento in modo istantaneo della proprietà di qualunque bene: anche di opere d’arte.
Accanto alle blockchain pubbliche, alle quali accedono tutti coloro che le abbiano scaricate, si sono affiancate quelle appartenenti ad un consorzio, ovverosia un gruppo prestabilito, o quelle private.
Tra le blockchain più note si annoverano quelle in materia assicurativa (vedasi Axa), finanziaria, musicale.
Rispetto ad un registro cartaceo la blockchain manifesta i vizi e le virtù del digitale. Da un lato infatti essa è velocissima e consente la conclusione di transazioni a distanza, senza intermediari, riducendone i costi, ed è in grado di certificare le informazioni ivi con tenute e pure la provenienza di merci e mezzi; dall’altro manca di regolamentazione e di certezza sull’identità del «contraente», potendo alimentarne l’utilizzo da parte di detentori di patrimoni di provenienza illecita.
Tramite blockchain possono essere vendute anche opere d’arte, se ne possono certificare autentiche e provenienze, se ne fanno catalogazioni. Ciò che è rivoluzionario è che molti artisti hanno iniziato a confrontarsi con questo nuovo linguaggio espressivo. In questo senso l’acquisto di opere d’arte mediante piattaforme blockchain è quindi un’esperienza nuova, eccitante che porta con sé un linguaggio espressivo da «sperimentarsi».
La libertà che offre la rete di poter trasferire con dei codici un’opera d’arte, tutte le informazioni sulla sua provenienza e le certificazioni di autenticità attira artisti e collezionisti visionari che comprano codici alfanumerici in luogo di un corpus mechanicus. Detta corrente artistica viene chiamata Cryptoart e si caratterizza per il fatto che l’autore crea immagini o video che vende tramite blockchain, ovverosia tramite una transazione in cui l’artista firma digitalmente l’opera che mette sul mercato trasferendola dal suo portafoglio elettronico (wallet) a quello di colui che, avendo già precedentemente acquistato criptovaluta, la scambia con l’opera stessa. Esiste un token associato all’opera. All’acquirente si fornisce un codice alfanumerico che può decriptare e che può, a sua volta, scambiare con altra criptovaluta reimmettendola nel mercato.
Il cryptoartista vende le sue opere direttamente oppure tramite una galleria, ergo piattaforma appositamente creata. Ogni passaggio di solito remunera di una percentuale direttamente l’artista, con profili quindi anche legati al diritto di seguito. Quest’arte ha il pregio di arrivare anche ad un pubblico giovane e con meno disponibilità. Forse una nuova arte popolare per tutti?
Questo nuovo linguaggio porta sicuramente con sé un cambiamento epocale. A differenza di altri settori per cd. merceologici, infatti, nell’arte la blockchain potrebbe ovviare agli annosi problemi legati all’autenticità, alla provenienza, alla sicurezza e alla liceità dell’opera. E ciò in quanto dal punto di vista tecnico la transazione inserita nella catena digitale consente di cristallizzare in un codice tutte le informazioni relative all’opera stessa: titolo, autore, descrizione, data di creazione autentica, licenza d’uso, provenienza. Dette informazioni viaggeranno per sempre con l’opera, di transazione in transazione, senza che nessuno possa più modificarle. Molte sono state le applicazioni in campo artistico: Maecenas (che fraziona le opere in quote acquistabili in comunione) e di cui si leggerà infra; Codex (una start-up che da valore alla provenienza delle opere). La stessa casa d’asta Christie’s ha adottato detta tecnologia.
Tuttavia essa presenta delle criticità e dei problemi giuridici e fiscali nuovo quali: l’esistenza di molteplici piattaforme; l’incertezza giuridica legata al fatto che le opere anziché essere pagate in moneta avente valore legale sono «pagate», o meglio «scambiate», con criptovaluta; l’identità delle parti, che può rimanere segreta; l’incertezza del valore legale delle transazioni e della validità delle firme digitali che non sempre sono apposte con le tecnologie normativamente riconosciute come valide, conducendo a volte all’invalidità della transazione stessa (denominata smart contract). Ancora, quale è il foro territorialmente competente ed il diritto nazionale applicabile in caso di lite?6.
Dal punto di vista internazionale l’Unione Europea ha innanzitutto creato l’European Union Blockchain Observatory & Forum allo scopo di accelerare lo sviluppo della blockchain in Europa ed una normativa comune7.
Inoltre è stato adottato il Regolamento UE n. 910/2014, cd. Regolamento eIDAS (electronic Identification Authentication and Signature), che fornisce una base normativa comunitaria per i servizi fiduciari e per le firme digitali.
L’Italia spesso in materia culturale non ha saputo «adattarsi» al mutare dei tempi. Ed invero in un primo momento non ha aderito alla European Blockchain Partnership promossa dalla UE, partecipandovi solo successivamente, ivi compreso all’EU Blockchain Observatory and Forum del 2019.
Attualmente il nostro paese si è adeguato in materia penale e comunque di antiriciclaggio. Il D.Lgs. 90/2017 ha infatti imposto adempimenti antiriciclaggio come la necessità per chi opera con criptovaluta (soggetti esercenti) di acquisire i dati, di conservarli ed infine di segnalare i soggetti in caso di operazioni sospette. É ovvio tuttavia che chi acquista con detta tecnologia in verità ha sempre rinvenuto nella segretezza un vantaggio.
Quanto alla materia più civilistica, nel 2019 il legislatore italiano ha approvato la cd. legge di semplificazione (L. 11 febbraio 2019 n. 12) il cui art. 8 ter, rubricato «Tecnologie basate su registri distribuiti e smart contract» ha dato una definizione delle predette tecnologie al comma 1 affermando che «Si definiscono «tecnologie basate su registri distribuiti» le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili».
Poi ha definito ed attribuito effetti giuridici agli smart contract stabilendo che «si definisce «smart contract» un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale … La memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014».
Con detta ultima previsione normativa il nostro legislatore ha tentato di dirimere la querelle insorta in dottrina tra coloro che negano rilevanza giuridica alle stringhe corrispondenti agli smart contract, o li definiscono contratti condizionati, e coloro che invece ritengono che essi soddisfino i requisiti di cui agli artt. 1325 e ss del codice civile in punto di accordo, dei suoi requisiti, e persino dei vizi della volontà. Si rimanda ad altra trattazione lo specifico esame dell’applicabilità ai cosiddetti contratti intelligenti della disciplina codicistica tradizionale.
Tuttavia ciò che risulta interessante per il diritto dell’arte è la compatibilità della compravendita di opere d’arte sono la blockchain ed i futuri sviluppi con riferimento alla normativa antiriciclaggio. Attualmente infatti in Italia solo gli esercenti in criptovaluta hanno l’obbligo di fornire i dati, conservarli e fornire le segnalazioni per le operazioni sospette. I privati invece possono decidere se scegliere l’anonimato o meno.
Riflettendo sugli obblighi attualmente imposti dalla normativa nazionale alle gallerie o agli intermediari professionali di opere d’arte ci si chiede cosa succederà alle piattaforme che vendono cryptoart anche con riferimento all’acquisizione dei dati dei clienti, alla loro conservazione e all’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette. Le gallerie e le piattaforme digitali sono soggetti equiparabili, anche quanto agli obblighi fiscali? Sarà valida l’operazione di vendita qualora l’acquirente/collezionista non voglia fornire le proprie generalità anche dopo l’entrata in vigore della quinta direttiva comunitaria in materia di antiriciclaggio? E il diritto di seguito? A queste transazioni si applica la normativa del consumatore8?
Al di là delle crypto-opere d’arte, una utile applicazione della blockchain nell’arte si ha nelle piattaforme che rispetto ad opere tradizionali, reali e non digitali, ne certificano «solo» l’autenticità attribuendo un QR – Code all’opera e all’autentica. La piattaforma blockchain consente in questo caso a tutti gli iscritti (collezionisti, galleristi intermediatori) di chiedere ed apporre alle opere il QR-Code che rimarrà valido per tutte le transazioni successive.
Il digitale e la blockchain saranno accettate dai protagonisti del mondo dell’arte? Sicuramente se ci sono artisti così geniali e collezionisti così visionari da aver compravenduto performance da recitare o opere inesistenti, le stringhe alfanumeriche saranno un successo e acquisiranno valore, con buona pace dei cultori del diritto e del fisco.
Alessia Panella è avvocato. Si occupa di diritto civile e ha lavorato come avvocato specializzato in contratti di appalto pubblici e privati presso cooperative ed aziende private. Si occupa di contrattualistica nell’ambito del diritto dell’arte, vantando tra i propri clienti galleristi e artisti, essendo lei stessa appassionata collezionista. Ha insegnato Diritto dell’Arte e Diritto d’Autore presso lo IED di Venezia, pubblica articoli in giornali e riviste specializzate in Diritto dell’Arte. Coordina il gruppo di lavoro Arte e Cultura dell’Associazione Economisti e Giuristi Insieme costituita dal Consiglio Nazionale del Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, dal Consiglio Nazionale Forense e dal Consiglio Nazionale del Notariato. Fa parte del Forum per l’Arte Contemporanea creato presso il Museo Pecci di Prato. È componente del consiglio dell’AIMIG (Amici Italiani del Museo di Israele di Gerusalemme).
Note
(1) La tradizione vuole che Paul Delaroche con riferimento all’avvento della dagherrotipia abbia affermato «da
oggi la pittura è morta».
(2) Naruto v. Slater, No. 16-15469, 2018 (9th Cir., 23 aprile 2018),
https://cdn.ca9.uscourts.gov/datastore/opinions/2018/04/23/16-15469.pdf
(3) componente il collettivo Obvious
(4) CGUE 16 luglio 2009, Infopaq International A/s v. Danske Dagblades Forening
(5) Cass. le civ. Feb. 22 2000, JCP com. 2000 17-18
(6) Per il diritto internazionale viene in rilievo il foro ove si è realizzato l’eventuale danno
(7) Nel 2019 la Commissione Europea ha pubblicato un report che ha chiarito quali saranno le tematiche
tecniche e giuridiche da approfondire.
(8) In Italia il Tribunale di Verona, con sentenza n. 195/2017, con riguardo ad una caso legato all’acquisto
di bitcoin mediante una piattaforma digitale e ad un rapporto contrattuale concluso tra alcuni investitori
ed una società promoter di crowdfunding ha acclarato la nullità dei contratti conclusi per violazione
degli obblighi di informativa essendo, l’acquisto di biotcoin, attività finanziaria di prestazione di servizi
a titolo oneroso resa a favore di consumatori che deve quindi rispettare i requisiti stabiliti dal Codice dei
Consumatori.