Il forum per immagini (1/5)
Intervista con Isabella Palumbi e Alessandro Giraldi
Sapete come rendere un forum diretto e inclusivo?
IP - L’Associazione HUB-C si! Creando un dialogo fra spettatori e relatori ha abbattuto i confini dove spesso ci sentiamo confinati ai soliti convegni: lo spettatore non ascolta in silenzio ma diventa parte integrante della conversazione. Provenienze, età, generi e professioni intrecciate tra di loro per generare una crescita collettiva.
AA - Durante il forum fra ho avuto l’opportunità di potermi esprimere attraverso l’arte, ed inizialmente ero terrorizzato dall’idea che diverse persone avrebbero assistito a ciò che avrei creato, ma una volta proiettati i disegni essi stessi sono diventati materiale di discussione. È stata una vera e propria connessione con l’altro, dando voce ai propri pensieri e sentimenti in maniera differente.
Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana
IP - Durante il primo report, partito dal quesito fondamentale sul riconoscimento dell’arte contemporanea italiana all’estero, è uscito fuori un concetto che, agli occhi di una giovane artista come me, ha fatto breccia nel cuore: “Noi non contiamo nulla”. Ed è così, non contiamo nulla.
Ma di cosa parliamo? Arte contemporanea, arte di oggi, arte di giovani artisti che molto spesso vengono cresciuti con pane e non si può vivere d’arte. Nel report, il concetto era strettamente legato ai giovani artisti italiani che cercano di farsi strada in un mondo che, molto spesso, guarda altrove con gli occhi sempre puntati ai grandi artisti italiani di un tempo, poiché è di questo che si parla sempre quando si menziona l’arte italiana, si parla di Leonardo, di Michelangelo e Raffaello, si parla di Da Vinci, Botticelli e Brunelleschi.
Tutto ciò che viene dopo il 1900 non è considerato nemmeno, senza parlare di quello che viene prodotto oggi. Nessun artista contemporaneo potrà mai essere all’altezza dei grandi artisti di un tempo. Ma perché?
Perché prima di tutto la concezione di arte qui in Italia è rimasta nei secoli addietro, senza muoversi di un passo, mentre gli artisti fanno chilometri e chilometri in un solo giorno.
E quindi cosa rimane? L’insicurezza, la paura e l’incertezza. Ma solo questo? Siamo solo spaventati all’idea di un mondo che potrebbe non comprendere quello che siamo e che facciamo?
No. Siamo anche la distruzione, la scoperta. Siamo la rivoluzione. Perché i grandi artisti non sono quelli di un tempo, siamo noi che rompiamo il sistema pur di far crescere la nostra arte.
AA - Nel primo incontro si è parlato di quanto fosse riconosciuta l’arte contemporanea italiana all’estero, discutendo anche su come incentivarne la popolarità. Durante il discorso ho potuto sentire la voce di diverse generazioni che cercando di comunicare tra loro hanno esposto i principali punti per far sì che l’arte contemporanea italiana riuscisse a ricevere la notorietà meritata, sia a livello economico che artistico. Ma il problema è alla base, difatti l’arte italiana, per poter essere presa seriamente all’estero deve innanzitutto essere presa sul serio da sé stessa. In Italia l’arte contemporanea non è del tutto apprezzata (o meglio, sarebbe giusto dire “compresa”) per via di un insulso attaccamento all’arte più antica che ha fatto da colonna portante per arrivare a ciò che siamo oggi. Ma a fronte di tutto questo, sapendo che abbiamo ricevuto un’influenza del passato così importante, così magnifica ed affascinante, sapendo che tutto questo scorre nelle nostre vene... com’è possibile non avere fiducia nei giovani artisti e nelle loro novità? Inoltre, con l’arrivo delle connessioni globali (internet e qualsiasi altra forma di condivisione di informazioni) i nuovi artisti trovano modo di essere influenzati da tantissime altre culture, permettendo di essere capiti anche nel resto del mondo, facendo ritrovare le loro culture, su una base tutta italiana.
Il problema è quindi crederci. Avere fiducia. Io stesso non ho intrapreso un corso di studi dal tratto artistico per questo problema. Sia chiaro, nessuno nella mia famiglia mi ha mai contrastato processi o sviluppi creativi, non mi è stato mai negato di intraprendere degli studi in ambito artistico, ma mi sono sempre precluso l’opportunità di recarmi in un liceo artistico per via di ciò che sentivo costantemente attorno a me, da chiunque: “Eh, ma se vai all’artistico poi che fai? Eh, ma allora sei uno sfaticato, finirai sotto un ponte” e a fronte di questo, non credo sia necessario aggiungere altro.
L’arte come investimento territoriale
IP - Nel secondo report il caso riportato era l’investimento territoriale dell’arte. Ospite insieme ai relatori (critici d’arte, giornalisti, curatori, sociologi) una giovane ragazza, una mia collega, una persona che parlava la mia lingua e sapeva davvero cosa significasse ritrovarsi li, insieme ai grandi capoccioni.
Il suo coinvolgimento nel report era stato dettato dall’aver esternato il suo timore, la sua paura per quanto riguarda il futuro: “io, se penso al futuro, ho l’ansia”. In quel momento ho pensato che forse fosse la persona che più si meritava di stare seduta su quelle sedie imbottite, avrei voluto conoscere tutte le sue paure, perché ero sicura che sarebbero state anche le mie.
Il tempo che scorre, l’economia che spesso rema contro di noi, artisti e no, ragazzi, studenti, figli. Eppure, non la sentivo.
Non la sentivo perché spesso è facile parlare sopra i ragazzi, anche se si parla di loro, anche se si parla delle problematiche legate al loro futuro, alla loro vita. Vogliamo chiamarlo retaggio culturale?
Cos’è che accade nella mente di un adulto, un capoccione dell’arte, dell’economia o della politica, quando parla un giovane ragazzo?
Io non so rispondere a questa domanda, e fare congetture non porta ad alcun risultato; ma allora perché non chiederlo a loro? Perché non fare un forum che parla di ragazzi dove sono i ragazzi a parlare? Invertiamo i ruoli, giovani artisti come relatori che conducono una conversazione che sono sicura riusciranno a sostenere e come ospiti i grandi personaggi della scena italiana economica, politica e artistica.
Capovolgiamo il mondo, facciamo le giuste domande alle persone giuste, abbiamo distrutto e ricostruito, si, ma non è abbastanza.
AA - Per quanto riguarda il secondo incontro, le giovani voci hanno espresso il loro timore nei confronti di un futuro incerto, e di quanto esso possa essere imminente: “Il futuro è paura, inizia domani... o anche solo fra 5 minuti”, mentre dalle voci adulte sono giunti discorsi che rincorrono unicamente l’aspetto economico e, sebbene l’intenzione fosse quella di incoraggiare l’utilizzo dell’arte come investimento territoriale, l’intero discorso ha messo l’arte in secondo piano, facendola passare come un mero tramite da cui trarre vantaggio. Inutile dire che purtroppo la questione economica è stata la prevalente, soprattutto per il rapporto di giovani / adulti presenti all’incontro, sovrastando la voce della generazione più giovane che ahimè ha avuto modo di esprimersi per pochissimo tempo, solo nei primi minuti del discorso.
Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi.
IP - Quando ho letto il titolo di questo report mi sono tornate in mente le storie di mia nonna, quando parlava dell’Italia, l’ha sempre chiamata Belpaese.
Mi diceva sempre che ovunque l’Italia veniva chiamata così per la sua arte, la storia, la cultura e addirittura per il clima. Mi parlava di questo posto perfetto, il paradiso in terra riconosciuto dai paesi di tutto il mondo; le storie erano sempre al passato, e io mi chiedevo perché, cosa era cambiato.
In che momento l’Italia ha smesso di essere il Belpaese?
Quando ha iniziato a dimenticarsi di loro, dei paesi, dei borghi. Io ho sempre amato i borghi italiani, li ho sempre trovati affascinanti e poetici, ma sarà perché non c’ho mai vissuto. Anche qui ospite una collega, anche lei ha espresso i suoi timori: “vengo da un paesino, e qui, se non te ne vai subito ci rimani imprigionato”.
Il report ruotava attorno al fenomeno di scappare dall’Italia, per motivazioni legate all’economia ma anche alla problematicità che si è manifestata nei decenni della poca crescita culturale ma, a parer personale, anche alla sensibilità emotiva che questo paese dimentica giorno per giorno.
Anche io, come tutti, prima della fine del liceo ho fantasticato su dove scappare, poiché mi sembrava di non avere voce e spazio qui, e anche io mi sono invece poi ritrovata incastrata qui. Continui gli studi, inizi a lavorare, le relazioni si ramificano e andare via è sempre più difficile.
Io sogno un mondo in cui non desidero di andare in un posto dove la mia voce viene ascoltata, sogno un mondo in cui il mio paese ascolta cosa ho da dire, in cui la crescita e il cambiamento non sono sinonimo di decadimento culturale, ma di esaltazione e riqualificazione.
AA - “Ancore e sogni”, qui le giovani voci si sono sentite ancor più dimenticate, in quanto abitanti di piccoli borghi. Questi sognatori sono ancorati a terra per via delle scarse possibilità offerte dai luoghi dimenticati che li circondano. Le opportunità offerte dalle loro circostanze geografiche sono scarse in quanto anche a livello economico/commerciale questi piccoli borghi non hanno molto da offrire. Tuttavia, questi luoghi hanno molto da dare a livello culturale, e grazie alla loro influenza sui giovani che li abitano, se verranno dati i giusti mezzi essi potranno essere preservati nel tempo. Ma allora come evitare una fuga di giovani, non solo da borghi sperduti, ma anche dall’Italia stessa? Infatti, non si tratta unicamente di traslochi nel settentrione italiano, bensì di una vera e propria fuga dal bel paese. Purtroppo, questo paese è troppo ancorato alle solide fondamenta su cui ha saputo innalzarsi, senza avere una visione di fiducia nei confronti di un futuro che vive di cambiamenti ed innovazione ed è per questo che forse, non riesce ad andare avanti.
Personalmente, io non ho mai avuto il desiderio di andarmene dal nostro bel paese. Sarà per una questione di carattere, per un fattore di radicalità ed affettivo che è sempre vissuto dentro di me, ma la meraviglia del vissuto italiano mi ha sempre fatto sentire avvolto da un dolce abbraccio, e mi basta questo per dire che l’Italia è e sarà sempre la mia casa.
Neomutualismo: ridisegnare dal basso la competitività e welfare
IP/AA - Quarto report, complessità politiche, socio-tecnologiche e trasformazioni sociali.
In questo incontro i relatori propongono un nuovo punto di vista su un concetto dall’orientamento utopico/trasformativo, una consapevolezza collettiva sulla riqualificazione del passato proiettandolo nel tempo futuro.
Ma cosa significa mutualismo e come viene immesso nell’economia sociale?
Nel senso strettamente legato alla biologia, il mutualismo, riporta il concetto di relazione, competizione e cooperazione tra specie che traggono reciprocamente vantaggio dalla convivenza, poiché da soli, non sono in grado di sopravvivere. In una società che incrementa e incoraggia le connessioni ma indebolisce i legami, i relatori introducono un nuovo livello di analisi e azione rigenerato dalla crisi in atto, ricombinando le tradizionali forme di creazione del valore: redistribuzione pubblica, scambi di mercato e relazioni di reciprocità.
Sull’onda di questo nuovo sguardo, il concetto che più ha catturato la nostra attenzione è sicuramente quello della cooperazione e della competitività atossica, che ci ha indotto verso una strada da poter percorrere insieme.
Il rapporto dinamico di parità, reciprocità e bilateralità ha dato alla luce una collaborazione in ambito creativo e immateriale, dove l’opera risulterebbe incompleta in assenza dell’altro, ricollegandosi, come in un uroboro infinito, al valore biologico.
L’esito di questa collaborazione veicola in maniera visibile e tangibile il report agli occhi degli spettatori presenti durante l’evento, dando così la possibilità di riflettere attraverso una prospettiva differente, attraverso i nostri occhi, gli occhi del futuro.
In giro per festival
IP - Giungiamo alla fine del forum con il quinto report, una mappatura generalizzata atta a riportare i 350 festival d’Italia regalataci dai relatori e dagli ospiti presenti durante l’evento.
Girovagando tra letteratura, arte, economia, ma anche cinema, musica e ambiente abbiamo viaggiato attraverso metropoli e piccoli centri, individuando così un nuovo tipo di turismo.
Il turismo della cultura popolare, delle manifestazioni e del folklore che incoraggia le persone a instaurare nuovi legami e nuovi rapporti umani.
Ho compiuto un gesto irreparabile, ho stabilito un legame.
Ricollegandomi alla frase di Jorge Luis Borges, nonché slogan dell’intero evento, il legame non è altro che un passo, un’azione che ne scatena una serie infinita, un’operazione di magia che genera interconnessioni di carattere culturale ma anche e soprattutto di carattere emotivo.
AA - Al termine del FRA si è parlato di un argomento che ha incluso il forum stesso. Ovvero l’importanza dei festival e quanto essi sono in grado di comunicare, di portare a chiunque si rechi a visitarli.
La costruzione di un legame in questi festival è implicita e si insidia dentro di noi, una volta che ci immergiamo in questi eventi, infatti, è irreparabile il fatto che ormai diventano parte di noi. Cultura, incontri, arte, piccole tradizioni, sono realtà che esistono ed è giusto che si facciano sentire, e proprio grazie al FRA, è stato appagante essere ascoltati.
Quindi il FRA è riuscito a creare un legame?
IP - Futuro, Ragione e Arte. Le tre colonne portanti del forum, degli ospiti, relatori, spettatori, artisti.
Le tre colonne portanti di questa conversazione generazionale che hanno portato all’intreccio culturale, economico, sociale ma anche territoriale raccontato da grandi e piccole voci.
Io sono una piccola voce, e ora, mi sento finalmente ascoltata.
AA - Giunto il momento di parlare delle nostre illustrazioni, non si è trattato solo di reggere un microfono in mano. Si è trattato di sguardi, sorrisi ed attenzione nei nostri confronti mentre cercavamo di esporre le nostre creazioni, sperando che oltre alle parole avremmo potuto comunicare ciò che non riusciamo a dire parlando.
Grazie forum FRA, per aver reso la mia voce un legame.
Isabella Palumbi è una graphic designer nata a Pescara che prova a farsi strada nel mondo attraverso l’arte digitale che le permette, giorno per giorno, di esprimere non solo il suo sentito, ma anche temi di attualità come la salute mentale. Tramite disegni e illustrazioni attua una ricerca interiore riflettendo sulla quotidianità che la circonda.
Alessandro Giraldi è un giovane studente che ha sempre soppresso le sue passioni artistiche poiché ritenute futili ed inconcludenti dal suo surround sociale. Tramite le sue illustrazioni vuole ritrarre la bellezza nella sua forma più pura ed ingenua, e come quest’ultima possa essere facilmente profanata ed intaccata.