Il racconto di una città
di Christian Leperino
Sono nato a Napoli, una delle città più luminose e vitali del sud Italia.
Da molti anni lavoro nel quartiere Sanità. Grazie all’Associazione “SMMAVE (Santa Maria della Misericordia ai Vergini) Centro per l’Arte Contemporanea”, che mi onoro di rappresentare in qualità di Presidente, ho recuperato l’antica chiesa di Santa Maria Della Misericordia (XVI-XVIII sec.), in precedenza abbandonata e chiusa da circa un secolo, trasformandola in un centro per l’arte contemporanea, dove la creatività incontra lo spazio del sacro.
Sono molto grato a tutti i soci dell’Associazione, professionisti del settore dell’Arte Contemporanea e volontari che, dal 2015, mi aiutano nella cura della Misericordiella, a lungo abbandonata al degrado; grazie ad un intenso lavoro di pulizia, ripristino, studio e valorizzazione, abbiamo recuperato e riaperto al pubblico questo antico bene, restituendo alla città un centro di ricerca, didattica e produzione artistica.
Un presidio culturale multidisciplinare per la rigenerazione del territorio che ha sviluppato collaborazioni e protocolli d’intesa con altri soggetti associativi del territorio, enti culturali, istituzioni museali e di ricerca, tra i quali Accademia di Belle Arti di Napoli, Museo Madre, Museo Archeologico Nazionale (rete ExtraMann), Pio Monte della Misericordia, Università “Federico II”, Fondazione Campania dei Festival, Ludoteca cittadina Comune di Napoli, Progetto Museo (Rete AAA Accogliere ad Arte, con il patrocinio del Comune di Napoli).
La chiesa di Santa Maria della Misericordia fa parte di un antico complesso, l’ex ospedale dell’Arciconfraternita omonima, e la sua lunga storia l’ha vista abbandonata e sepolta dalla “lava dei Vergini” e poi ricostruita più bella, fino al cantiere del ‘700 che più di ogni altro intervento ha plasmato gli interni, con l’eleganza del disegno architettonico e la raffinata qualità dei rilievi in stucco, sopravvissuti alle ferite novecentesche dell’abbandono e dei furti.
La Misericordiella sorge quasi al termine dell’antico percorso delle acque che dal colle di Capodimonte si spingevano fino all’area dei “Vergini”, scelta sin dai tempi della polis greca come luogo di eremitaggio e di sepoltura dei defunti, appena fuori dalla cinta muraria che la separava dalla città dei “vivi”. È un territorio carico di spiritualità e memorie, luogo dai forti contrasti, ma ricco di stimoli per chi è impegnato nella ricerca artistica e nell’azione culturale.
Ci siamo impegnati con amore e passione a ripulire, recuperare, restituire le memorie materiali e immateriali del passato di questo luogo che sembrava condannato ad un destino di degrado, affinché potesse diventare centro di ricerca, didattica e produzione artistica: uno spazio aperto all’incontro e alla partecipazione di artisti, studiosi, associazioni.
È stato un lavoro lungo e faticoso, portato avanti esclusivamente con l’impegno volontario dell’associazione, ma che ci ha ricompensato con il recupero dell’antico ipogeo, a otto metri di profondità, dedicato alla funzione di “terrasanta” per la sepoltura dei defunti. Testimonianza del livello al quale si trovava la chiesa più antica, seppellita da un’alluvione alla fine del 1500. Un luogo denso di storia e di profonda spiritualità, interessato per decenni dallo sversamento di rifiuti e macerie edili. Così la chiesa è stata aperta al pubblico con installazioni site-specific, performance teatrali e musicali, laboratori d’arte e teatro, visite storico-artistiche e itinerari di valorizzazione del quartiere.
Entrare in rapporto con gli abitanti del territorio, ed in particolare con i più giovani, ci è sembrato fin dall’inizio essenziale per il progetto che stavamo avviando. Abbiamo intrecciato relazioni e importanti collaborazioni con le associazioni che da tempo vi operano e con le istituzioni scolastiche, facendoci pionieri nella costruzione di un “ponte” tra l’arte contemporanea ed il territorio. Il coinvolgimento dei più giovani e dei bambini è avvenuto “sul campo”, guidandoli prima nell’esperienza della visita al complesso e nella conoscenza di questo bene sconosciuto al quartiere stesso, e poi attraverso diverse tipologie di laboratori che ne sviluppassero le capacità di osservazione, rielaborazione autonoma e creatività. È in questo luogo, carico di storia e memoria, che realizzo le mie sculture.
La contrapposizione e la co-esistenza tra Luci ed Ombre è un tratto caratteristico di Napoli, città fatta a strati, in cui si ha la sensazione di camminare in due metropoli, quella dei viventi, dove siamo noi tutti, e quella del sottosuolo, più segreta e misteriosa, popolata dalle anime dei defunti, alla quale si accede attraverso vecchie porte o cunicoli, per poi giungere alle cisterne buie, alle necropoli, alle chiese sommerse dalle alluvioni.
Cerco di infondere sulle superfici delle mie opere la storia di una città che si è stratificata per millenni, dalla antica fondazione greca passando per i romani alle tante dinastie reali.
Tutte queste epoche, questi stili si fondono in un solo grande corpo urbano, dando forma a una città unica al mondo! Sono cresciuto in un quartiere povero, un luogo che mi ha addestrato all’arte come dimensione estetica della vita, in un territorio difficile. La cultura per me è stata ed è, ancora oggi, l’unica possibilità di salvezza rispetto all’impoverimento dell’Anima.
In antitesi all’immaterialità virtuale della nostra società contemporanea, recupero il rapporto con i materiali della scultura antica, come la creta, il gesso, il bronzo, che necessitano di impegno e forte fisicità, di cui ho bisogno come artista. Osservo molto i Palazzi della città, dalle architetture fuoriescono figure ed elementi decorativi come lesene, capitelli, sculture di seducenti sirene che il tempo e l’incuria hanno corroso e trasformato in mostri meravigliosi, adagiati sui portali di piperno grigio.
E poi c’è la vita, nel cuore dei bassi, dei vicoli e delle ampie vedute, che donano allo sguardo un’esistenza carica di umanità e dramma.
Adoro tutti questi contrasti, le storie di vita, il reticolo di strade infinite, dove si intrecciano i molti chiaroscuri dell’esistenza. Mi piace varcare la soglia di questi luoghi, e nei palazzi mi lascio sedurre dalle curve armoniche e maestose del barocco, dove nei cortili o sui balconi in alt, sono esposte statue di santi o madonne, come guardiani silenziosi a contrastare la forza incombente del vulcano. Sui basoli negli androni dei palazzi i ragazzini giocano chiassosi rincorrendo una palla, utilizzando spesso delle pietre o dei barattoli per delineare il perimetro di un campo di calcio improbabile.
Mi lascio sedurre e stupire da questi luoghi, soprattutto dai mattoni di tufo giallo, estratti dalle millenarie colline rocciose, divenute cave buie. Sulle superfici di questi muri, sugli intonaci sbiaditi, tra le crepe, i segni incisi, riesco a leggere la memoria di queste pietre. La forza, la dualità che caratterizzano la mia terra le trascino nella mia ricerca artistica costantemente.
Spesso mi reco al mare, dove lo sguardo lontano dal caos cittadino mi riporta ad un tempo remoto, all’eco e alla suggestione del mito greco. Recupero poi sulla riva, nella sabbia nera vulcanica, cime annodate, pezzi di legno di vecchie barche naufragate, conchiglie ed elementi che utilizzo, inserendoli nelle sculture che modello, dove riaffiorano a tratti tracce dei fondali marini, echi di un passato lontano vivo e palpitante.
Cresciuto nella periferia est di Napoli, contrassegnata da non-luoghi grigi e desolati, Christian Leperino (Napoli, 1979) si forma all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove inizia a sperimentare linguaggi differenti: la pittura e la scultura, ma anche la fotografia e il video, che gli permettono di approcciare in maniera diretta tensioni e disagi che attraversano la sua generazione.