Impresa sociale otto anni dopo
di Monica De Paoli
Ringrazio AES per l’occasione di riflettere sull’impresa sociale a otto anni dalla sua riforma; è quanto mai opportuno farlo per spiegare come, nonostante le aspettative e l’innovatività del principio di separazione tra non profit “tradizionale” e non profit produttivo, l'impresa sociale ancora stenti a decollare.
Vanno riconosciuti a questo istituto giuridico caratteri forti di novità, quali l’inclusione tra gli enti non profit di soggetti che svolgono attività imprenditoriale in via principale (con i necessari momenti di confronto con il mondo cooperativo) e il riconoscimento della non essenzialità dello scopo lucrativo in capo alle società del Libro V del codice civile.
Certamente l'impossibilità di distribuire utili e l'assenza di agevolazioni fiscali dedicate sono state le cause principali del mancato successo dell'impresa sociale nella precedente versione. Ecco perché con la riforma del 2017 sono stati apportati correttivi in entrambe le direzioni; lo vedremo poi.
L’assenza ad oggi del parere favorevole della Commissione europea (viene dato di prossimo rilascio) necessario per la piena efficacia delle agevolazioni fiscali ha sicuramente influito sulla scelta di molti sull’adottare o meno la struttura di impresa sociale. Non si può ricondurre solo a questo motivo la diffidenza che ancora rimane; per comprenderne le ragioni proviamo allora a riassumerne brevemente le principali caratteristiche.
Come noto la riforma del Terzo settore ha dedicato all’impresa sociale il Decreto legislativo 3 luglio 2017 n.112, distinto dal Codice del Terzo settore, pubblicato con D. Lgs in pari data, n. 117.
Sono seguiti alcuni decreti ministeriali relativi all’attuazione della legge.
Di seguito riepilogo i principali punti della normativa.
I soggetti
Possono essere imprese sociali le associazioni, le fondazioni, i comitati e le società anche in forma cooperativa.
Possono essere imprese sociali anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti limitatamente allo svolgimento delle attività previste per le imprese sociali a condizione che adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che recepisca le norme del D. Lgs 112/2017.
Le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali.
Non possono essere imprese sociali le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e gli enti e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati.
Le attività
Le imprese sociali hanno ad oggetto l’esercizio in via stabile e principale di un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività.
Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, le attività d’impresa aventi ad oggetto i settori di cui all’art. 2 del decreto.
Si considera comunque di interesse generale, indipendentemente dal suo oggetto, l’attività d’impresa nella quale, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, sono occupati:
a. lavoratori molto svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, numero 99), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, e successive modificazioni;
b. persone svantaggiate o con disabilità ai sensi dell’articolo 112, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni, nonché persone beneficiarie di protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e persone senza fissa dimora iscritte nel registro di cui all’articolo 2, quarto comma, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia.
c. In tal caso l’impresa sociale impiega alle sue dipendenze un numero di persone di cui alle lettere a) e b) non inferiore al trenta per cento dei lavoratori. Ai fini del computo di questa percentuale minima, i lavoratori di cui alla lettera a) non possono contare per più di un terzo. La situazione dei lavoratori di cui al comma 4 deve essere attestata ai sensi della normativa vigente.
L’assenza di scopo di lucro
L’impresa sociale destina eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. E’ vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto.
E’ vietata quindi:
a. la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni;
b. la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui ai settori b), g) o h);
c. la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per la distribuzione di dividendi);
d. l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
e. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale;
f. la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento.
La distribuzione degli utili
L’impresa sociale può destinare una quota inferiore al 50% degli utili (se società) o degli avanzi di gestione annuali (se associazione, fondazione o comitato), dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti:
a. se costituita in forma di società, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti dell’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT (il c.d. “indice FOI”) per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili o gli avanzi di gestione sono stati prodotti, oppure alla distribuzione di dividendi ai soci, anche mediante aumento gratuito di capitale sociale o l’emissione di strumenti finanziari (obbligazioni), comunque non superiore all’interesse massimo annuo dei buoni postali fruttiferi, aumentato del 2,5% calcolato sul capitale effettivamente versato dai soci;
b. qualunque sia la forma giuridica in cui è costituita l’impresa sociale, ad erogazioni gratuite in favore di Enti del terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano soci, fondatori o associati dell’impresa sociale stessa o società da questa controllate. Tali erogazioni devono essere finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.
Gli organi
L’atto costitutivo o lo statuto possono riservare a soggetti esterni all’impresa sociale la nomina di componenti degli organi sociali. In ogni caso, la nomina della maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è riservata all’assemblea degli associati o dei soci dell’impresa sociale.
Coloro che assumono cariche sociali devono possedere specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza.
Lo statuto dell’impresa sociale deve prevedere la nomina di uno o più sindaci.
La revisione legale dei conti è esercitata da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro, o da sindaci iscritti nell’apposito registro dei revisori legali nel caso in cui l’impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati nel primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile, fatte salve disposizioni più restrittive relative alla forma giuridica in cui l’impresa sociale è costituita;
Coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle attività
Nei regolamenti aziendali o negli statuti delle imprese sociali devono essere previste adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività.
Per coinvolgimento deve intendersi un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati alle attività siano posti in grado di esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale, con particolare riferimento alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi.
Le modalità di coinvolgimento devono essere individuate dall’impresa sociale tenendo conto, tra gli altri elementi, dei contratti collettivi, della natura dell’attività esercitata, delle categorie di soggetti da coinvolgere e delle dimensioni dell’impresa sociale, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Gli statuti delle imprese sociali devono in ogni caso disciplinare:
a. i casi e le modalità della partecipazione dei lavoratori e degli utenti, anche tramite loro rappresentanti, all’assemblea degli associati o dei soci;
b. nelle imprese sociali che superino due dei limiti indicati nel primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile ridotti della metà, la nomina, da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente sia dell’organo di amministrazione che dell’organo di controllo.
Questa disposizione non trova applicazione alle imprese sociali costituite nella forma di società cooperativa a mutualità prevalente e agli enti ecclesiastici;
Attività di volontariato
È ammessa la prestazione di, a determinate condizioni;
Le operazioni straordinarie
Devono essere attuate in modo da preservare l’assenza dello scopo di lucro, i vincoli di destinazione del patrimonio e il perseguimento delle attività e delle finalità da parte dei soggetti risultanti dagli atti posti in essere, previa autorizzazione del Ministero del Lavoro e in conformità alle Linee guida da quest’ultimo pubblicate con DM 27 aprile 2018;
Bilancio sociale
L’impresa sociale deve redigere il secondo le linee guida pubblicate con DM 4 luglio 2019;
Scioglimento volontario o di perdita volontaria della qualifica
In caso di scioglimento volontario o di perdita volontaria della qualifica di impresa sociale il patrimonio residuo viene devoluto ad altri ETS, con le modalità indicate nel decreto;
La fiscalità di favore
Prevista all’art. 18 del decreto, come anticipato, è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea, che auspicabilmente dovrebbe arrivare nel corso del 2025.
Richiami così ampi al testo (vogliate scusarmene) secondo me erano necessari a capire quanto, rispetto alla disciplina precedente, siano stati ampliati gli ambiti di operatività dell’impresa sociale (pur essendo stato mantenuto l’elenco delle attività, scelta che è stata adottata anche dal Codice del terzo settore, che personalmente non condivido) e risulti prevista una forma – seppur modesta – di remunerazione del capitale. Restano molti, troppi vincoli, se consideriamo che la nuova disciplina aveva l’ambizione di superare gli scogli che non hanno fatto apprezzare la precedente e di porsi come punto di riferimento per il non profit produttivo, favorendo l’”attrazione” di enti che oggi operano ancora sotto altre forme e qualifiche giuridiche, con attività di natura commerciale, e all’interno di limiti legislativi e di interpretazioni rigorose. Un possibile impiego dell’impresa sociale può essere quello di impresa strumentale costituita da un ente di Terzo settore per l’esercizio di attività commerciali che superino il limite consentito dal Codice del Terzo settore per non perdere la qualifica di ente non commerciale, anche se va rimarcato che lo stesso non può avvenire, sempre per i limiti della normativa, se socio è una impresa profit che voglia svolgere una attività non profit di natura commerciale.
Non va dimenticato che nello stesso periodo è stata varata la legge sulle società benefit (Legge 208/2015) che pur operando in ambito profit e non concedendo alcun tipo di agevolazione fiscale, costituisce un modello competitivo rispetto all’impresa sociale, perché basato su una visione dell’impresa attenta al bene comune, alle istanze ESG e di sostenibilità, ma evitando i vincoli dell’impresa sociale.
Nella configurazione benefit l’impresa può anche avvicinarsi a schemi se non apertamente non profit almeno low profit, o perché destina parte degli utili a finalità altruistiche o perché -se ad esempio è detenuta da uno o più enti non profit- realizza i loro fini statutari con l’utilizzo degli utili distribuiti.
L’impresa sociale è inoltre una qualifica trasversale, che può essere assunta da enti costituiti come associazioni, fondazioni o comitati oppure in forma societaria (società di persone, di capitali, cooperative) e la relativa disciplina tiene conto di queste distinzioni: ad esempio alle imprese sociali costituite in forma societaria non spettano alcune agevolazioni fiscali in materia di deducibilità delle donazioni o di imposte indirette.
E’ chiaro che la scelta della struttura giuridica va fatta in base all’ attività che si intende svolgere, alle esigenze dei costituenti, alle strategie di crescita, all’accesso a bandi ecc., ma non ci si può nascondere che la forma che offre maggiori opportunità è quella della società di capitali, perché consente di utilizzare -anche se con i forti limiti imposti dalla legge- tutti gli strumenti a disposizione per attrarre investitori, sia in equity che a debito, per creare diverse tipologie di quote o azioni con diversi diritti, per emettere strumenti finanziari partecipativi ecc.
Altro aspetto di cui va tenuto conto sono le operazioni straordinarie. Come si è visto brevemente riassumendo gli elementi caratteristici dell’impresa sociale, per le operazioni straordinarie che la riguardano è necessario acquisire la preventiva autorizzazione del Ministero del lavoro, che vaglia l’opportunità della decisione e soprattutto la preservazione delle finalità e del patrimonio.
Diventa pertanto difficile per l’impresa sociale, in qualunque forma costituita, procedere a operazioni di fusione o scissione eterogenea in cui siano coinvolti o creati veicoli societari profit, che potrebbero avere una loro utilità in caso di riassetti di gruppo o per separare settori di attività che abbiano assunto caratteristiche tali da creare difficoltà o ambiguità se svolte sotto il cappello dell’impresa sociale.
Concludendo, credo di poter affermare, a otto anni dalla revisione della legge e in attesa della sua piena attuazione con le agevolazioni fiscali di riferimento, che l’impresa sociale costituisca un modello interessante per la riorganizzazione e lo sviluppo di attività produttive in ambito non profit (anche culturale) pur essendo chiaro che le troppe cautele e i timori del legislatore ne hanno limitato sicuramente l’affermazione. D’altra parte, la rapida evoluzione delle norme comunitarie e degli investimenti ESG che promuovono un modello di impresa “virtuoso”, basato su misurazione degli impatti, rendicontazione e governance societaria trasparente, ha già imposto il territorio e la società come benchmark di riferimento per tutti i tipi di impresa moderna.
Credo che l’impresa sociale debba e possa trovare un suo spazio e nuove opportunità tenendo conto di questo sistema in fermento, anche proponendosi come partner di progettualità in ambito sociale, imponendo la propria expertise in una materia che non si insegna all’università e non è oggetto di consulenza convenzionale.
Co-founder di Milano Notai, studio notarile in Milnao. Si occupa principalmente di Real estate e di Nonprofit, Società benefit, economia sociale e di economia sociale e d’impatto. Per le imprese si occupa di evoluzione a Società benefit e a B-Corp, anche coinvolgendo altri professionisti nell’adeguamento statutario e nell’individuazione della corretta struttura di corporate governance. È stata consulente per Il Codice del Terzo settore, la legge sul Dopo di noi e le misure di accompagnamento delle Società benefit. Vice Presidente di Assobenefit, associazione che promuove il modello delle società benefit, siede nei board del Fondo Filantropico italiano ETS, fondazione di intermediazione filantropica che agisce a livello nazionale e internazionale, della Fondazione Luigi Rovati di Milano e di Fuori Quota, per la valorizzazione della leadership femminile. Fa parte dell’Advisory Board di RCS Academy. Tra le esperienze più significative, è stata membro della Commissione Terzo settore del Consiglio nazionale del notariato, ha diretto Federnotizie, l’organo di stampa del sindacato notarile ed è stata Vicepresidente dell’Accademia del notariato.