di Roberto Bonifazi

La cultura nell’Italia dei quasi ottomila comuni

L'Italia conta 7.904 comuni, di cui oltre il 90% ha meno di 15.000 abitanti. Se analizziamo i comuni con meno di 5.000 abitanti, si arriva addirittura all'80%! Queste percentuali evidenziano immediatamente la varietà di contesti in cui si svolgono dibattiti, si prendono decisioni e si seguono procedure che, nel loro complesso, influenzano la vita di molte persone e generazioni. Molti di questi centri devono periodicamente decidere come gestire i principali beni culturali del loro territorio, tra cui biblioteche, teatri e musei, alcuni dei quali di grande valore. Si tratta dunque di una situazione che riguarda gran parte del nostro paese, da Nord a Sud, suscitando inevitabilmente domande e mettendo a confronto prospettive ed esigenze diverse.

Nel contesto delle politiche culturali, si devono considerare diverse prospettive, tra cui quella della pubblica amministrazione e dei suoi funzionari, quella della cittadinanza, delle imprese culturali attive sul territorio, del mondo dell’associazionismo e degli enti del Terzo Settore. Va inoltre tenuta in conto la prospettiva di chi già frequenta questi spazi culturali, accanto a quella di chi non li ha ancora visitati ma potrebbe farlo in futuro, o di chi ha scelto di non frequentarli affatto. Quali dinamiche caratterizzano le politiche culturali in queste comunità? Quali sono le esigenze principali da cui si parte nella valutazione della pubblica amministrazione? Quali sono le politiche culturali che si dovrebbero promuovere e quelle che invece vengono effettivamente promosse? Qual è la discrepanza tra ciò che viene proposto e ciò che è realmente attuato? E soprattutto quali sono gli approcci culturali e gli strumenti contrattuali utilizzati a livello locale?

In questi ambiti territoriali, gli enti del Terzo Settore ricoprono un ruolo fondamentale.  Apportano le risorse umane e le competenze necessarie per gestire ed animare tanti musei e teatri, spesso in condizioni di insostenibilità economica, facendosi carico, in nome dell’interesse comune, di oneri e responsabilità che vanno ben oltre la soglia di quanto dovrebbe essere normalmente accettato. Pertanto, è proprio dalla prospettiva del Terzo Settore che è possibile accedere ad un “punto di osservazione” che consente di comprendere le dinamiche che caratterizzano le politiche culturali in questi territori.

Il punto di partenza: un problema da minimizzare!

In primo luogo, è opportuno mettere temporaneamente da parte le eccellenze culturali italiane – come i grandi teatri o i musei – che fanno parte del nostro immaginario collettivo. Questi casi rappresentano degli “outlier”. La nostra intenzione è di concentrarci sulla condizione di numerose piccole e grandi eccellenze diffuse sul territorio nazionale. In particolare, in queste realtà, il rapporto tra la pubblica amministrazione locale, gli asset e le politiche culturali è fortemente orientato verso la necessità di affrontare un problema attuale o potenziale di natura gestionale, economica e finanziaria. Pertanto, la principale preoccupazione della pubblica amministrazione consiste nell'esigenza di ridurre al minimo le problematiche gestionali derivanti dai “contenitori culturali” – talvolta anche di notevole pregio – che possono rivelarsi particolarmente onerosi ed impegnativi. In sintesi, ci si trova spesso davanti ad “eredità” che vengono percepite come problemi da gestire piuttosto che come risorse da valorizzare.

Si riscontra, pertanto, una frequente e grave mancanza di riflessione sul significato delle politiche culturali, sulla valorizzazione degli asset culturali, sul coinvolgimento dei cittadini nella produzione dei servizi e sull'impatto sociale derivante dalla cultura. Gli asset culturali sono spesso considerati come problematiche da gestire all'interno di rigidi e restrittivi quadri normativi, contabili ed economici, con il rischio di perdere completamente di vista, ad esempio, il valore di una stagione teatrale o di un museo. La vera necessità consiste nel comprendere come garantire la manutenzione ordinaria della struttura e nell'individuare meccanismi per "trasferire" a organizzazioni terze responsabilità e prevedere sanzioni da applicare in caso di violazione delle micro-prescrizioni del capitolato di servizio. In questo contesto, l'architrave delle politiche culturali si trasforma nel "capitolato di servizio" dell'appalto o della concessione, seguendo una logica di facility management e relegando il progetto culturale e gli impatti generati sulla cittadinanza a dimensioni marginali. In nome della trasparenza e della competizione, gli strumenti dell'appalto e della concessione diventano mezzi per "esternalizzare la gestione del contenitore" a soggetti privati (spesso enti del Terzo Settore), trasferendo oneri, rischi, responsabilità e costi (nascosti) secondo il motto "raschiamo il barile fino in fondo".

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo….

È opportuno interrogarsi sulla possibilità di “capovolgere il tavolo”, esplorando strumenti giuridici e approcci culturali che possano “disinnescare” la spirale derivante dall’applicazione del modello del “bravo usciere a basso costo”, superando il riduzionismo frequentemente presente nell’operato della pubblica amministrazione. L'interesse generale e gli effetti delle politiche culturali non possono essere considerati un monopolio esclusivo dell'autorità pubblica; non può essere soltanto la pubblica amministrazione a detenere l'esclusiva sull'interesse pubblico.

Esiste un approccio alternativo a quello della competizione, rappresentato dalla società solidale e dalla co-progettazione. In particolare, l’articolo 55 del Codice del Terzo Settore, valorizzato dalla sentenza 131 del 2020 della Corte costituzionale, menziona esplicitamente la co-progettazione. Questa pratica implica che il settore pubblico e il Terzo Settore collaborino nella definizione di attività e servizi, condividendo obiettivi e finalità comuni attraverso la combinazione di risorse e competenze. La collaborazione per la realizzazione di progetti condivisi avviene in una condizione di parità e con un contributo di risorse aggiuntive rispetto a quelle pubbliche, in termini di risorse umane, contributi e finanziamenti. L'azione sussidiaria tra pubblico e privato costituisce la base per l'applicazione dello strumento giuridico della co-progettazione; la causa alla base delle relazioni tra organizzazioni diverse è rappresentata dalla condivisione e corresponsabilità riguardo a obiettivi, risorse e attività. La Consulta afferma che l’art. 55 è “… alternativo a quello del profitto e del mercato” a condizione che esprima  “un diverso rapporto tra il pubblico e il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico” e  “non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”.

Se da un punto di vista giuridico la co-progettazione fa riferimento all'articolo 118 della Costituzione e al principio di sussidiarietà, da una prospettiva politica essa può fungere da "corrente ascensionale" capace di promuovere la partecipazione e i processi democratici nella ideazione, definizione e implementazione delle politiche culturali a livello locale, rispondendo così ai bisogni complessi della comunità. Ne deriva che questa nuova "batteria di strumenti" ha il potenziale per generare una "politica di impatto", offrendo risposte adeguate basate su percorsi di vita reali, ponendo un freno all'applicazione dell'approccio appaltistico o del "capitolato di servizio", che tende a frammentare ogni politica in prestazioni dettagliate, adempimenti, costi e tariffe. È possibile che attraverso la co-progettazione si presenti l'opportunità concreta di ricominciare a "vedere il bosco e non solo un ramo dell'albero"!

Le politiche culturali e la co-progettazione

La prima questione da considerare è se la co-progettazione possa rappresentare lo strumento adeguato nell'ambito delle politiche culturali all'interno di un contesto specifico. Si supera il cosiddetto “test della complessità”? Ha senso intraprendere un processo di co-progettazione per l'intervento? È fondamentale, pertanto, valutare il livello di complessità del bisogno e delle problematiche presenti nelle comunità, nonché “la sfida” che la pubblica amministrazione si trova a dover affrontare. Questa valutazione è essenziale anche per consentire al funzionario pubblico di giustificare la scelta di una procedura collaborativa, garantendo così la correttezza e la trasparenza dell'azione amministrativa.

L'ambito culturale, in generale, si caratterizza per elevati livelli di complessità, rendendo pertanto l'eventualità di superare questo test non particolarmente ardua. In particolare, la principale complessità deriva dalla necessità di "manipolare" concetti, prodotti e "patrimoni intangibili" di una comunità, i quali acquisiscono valore e significato in quanto condivisi tra soggetti differenti e inseriti all’interno di percorsi collaborativi animati da portatori di interessi diversi. A questa considerazione si aggiungono ulteriori elementi: è fondamentale chiarire cosa si intenda attualmente per politiche culturali e in relazione a quale gruppo di beneficiari esse siano formulate. È altresì necessario valutare la natura e la tipologia degli impatti attesi sui beneficiari stessi. Ad esempio, quale significato assume oggi la gestione di un teatro e della sua stagione teatrale? Qual è il senso che si attribuisce a tale intervento culturale?

Sussiste la necessità di interrogarsi se la pubblica amministrazione possa efficacemente affrontare queste questioni in modo autonomo, limitandosi ad individuare un mero “esecutore”. Le politiche e l'azione politica – “liberate dal giogo” dei capitolati di servizio – hanno l'opportunità di riacquistare una posizione centrale. Il primo atto politico consiste nel riconoscere che questa “partita può essere giocata” coinvolgendo organizzazioni diverse, auspicabilmente capaci di apportare risorse e competenze distintive e complementari. Ad esempio, solo attraverso la co-progettazione sarebbe possibile sviluppare idee e progetti non soltanto destinati ai beneficiari attuali, ma orientati alla creazione del pubblico futuro. Infatti, una politica culturale rivolta al “pubblico di domani” – e non solo a quello di oggi - richiederebbe che il teatro si espanda oltre i propri confini per entrare in scuole, centri commerciali, bar e centri sociali, ossia in tutti quei luoghi di incontro informale, attivando alleanze innovative tra organizzazioni differenti. In alternativa, quale sarebbe il significato di avere una stagione teatrale dedicata ai ragazzi nell'epoca delle serie TV su Netflix? È proprio su questo terreno che l’approccio da “capitolato di servizio” manifesta le proprie fragilità, aprendo così uno spazio per la partecipazione, il confronto e la co-progettazione.

Co-progettare è partecipazione. La partecipazione è fondamentale nella fase di analisi dei bisogni, al fine di conseguire una comprensione approfondita della comunità. La collaborazione tra enti pubblici, organizzazioni del Terzo Settore e beneficiari ha principalmente il compito di condurre un'analisi dettagliata delle necessità degli individui all'interno di una comunità. L'importanza centrale dell'analisi dei bisogni, da diverse prospettive, dovrebbe garantire una visione completa e multidimensionale delle esigenze della popolazione locale, superando così la frammentazione delle risposte che caratterizza numerosi appalti. Il processo partecipativo richiede l'apporto di varie organizzazioni per affrontare collettivamente sfide comuni e riveste un'importanza tale per cui l'attività informativa non deve essere considerata un semplice adempimento burocratico, bensì un elemento sostanziale capace di promuovere la più ampia partecipazione in modo aperto e democratico. Con ogni risorsa si può contribuire al percorso di partecipazione, e gli enti del Terzo Settore possono intervenire non solo con risorse materiali ma anche con le risorse intangibili (capitali infungibili) che definiscono la propria missione. Anzi, l'obiettivo principale della co-progettazione per gli enti del Terzo Settore è quello di valorizzare e mobilitare il capitale sociale, le reti relazionali e la capacità di creare connessioni con diversi ambiti sociali, aprendo così il contesto locale a nuove idee ed opportunità. Mai come in questo periodo si avverte l’esigenza intensa di esplorare nuovi modelli e approcci nel contesto culturale e sociale. L'innovazione sociale assume un'importanza che non è inferiore a quella dell'innovazione tecnologica. Le nuove sfide sociali, infatti, richiedono una "nuova ondata" di sperimentazioni e l’attivazione della co-progettazione, basata sugli enti del Terzo Settore e sulla loro capacità di accedere a risorse intangibili, può rappresentare il "fattore determinante" per la sperimentazione e il successo di nuove politiche culturali.

Co-progettare significa partecipazione soprattutto per la pubblica amministrazione. Essa si colloca al centro di un processo caratterizzato dal dialogo e dal confronto tra organizzazioni, anche profondamente eterogenee, che operano su un piano di parità. Di conseguenza, l'approccio della co-progettazione impone alla pubblica amministrazione la necessità di attuare uno “shift”, ovvero una trasformazione significativa, spostando l'attenzione dalla mera gestione delle procedure amministrative alla gestione dei “tavoli di lavoro”, concepiti come spazi, opportunità e strumenti per facilitare l'informazione e promuovere il dialogo e la collaborazione tra soggetti differenti in nome di un interesse comune in una prospettiva di medio-lungo periodo.

In conclusione, la co-progettazione ha una valenza eminentemente politica prima ancora che tecnica! Il Terzo Settore e il settore pubblico dispongono, da qualche anno, degli strumenti necessari per incentivare la partecipazione dei cittadini, consentendo loro di intervenire in modo significativo nelle politiche e nei servizi, co-creandoli attraverso l'organizzazione di “tavoli di lavoro”. Ciò significa promuovere una forma autentica di partecipazione, fondata sul dialogo tra prospettive differenti, al fine di affrontare bisogni complessi all'interno di contesti reali, in netta opposizione a quanto praticato sulle piattaforme dei social media. In sintesi, la co-progettazione rappresenta un'opportunità per instaurare “nuove alleanze” tra enti locali, autorità politiche, Terzo Settore e cittadini al fine di “ridare slancio al metodo democratico” in uno dei momenti più critici della vita della democrazia.


Roberto Bonifazi ha conseguito un BSc in Business Economics presso l’Università di Londra, e successivamente un master in “Innovazione e politiche in ambito tecnologico”. Ha iniziato la sua carriera nella consulenza strategica e in progetti di ricerca, sviluppo e innovazione per le PMI. Si è occupato dello sviluppo di nuovi modelli di business sociale e dell’utilizzo di nuovi strumenti, giuridici e finanziari, nel campo dell’economia sociale. Ha lavorato su scala nazionale in diversi campi, tra cui: energie rinnovabili, social housing, fondi immobiliari, politiche di sviluppo e reti di imprese. Ha collaborato con le migliori istituzioni finanziarie e società di consulenza aziendale in Italia. Ha partecipato a nuove iniziative imprenditoriali e start-up in diversi settori, concentrandosi sulla raccolta di capitali da fonti pubbliche e private. Negli ultimi anni si è dedicato allo sviluppo di progetti innovativi per reti di imprese e all’impatto sociale. Ha collaborato con i dipartimenti di economia e management di diverse università.