La cultura progettuale come paradigma sostenibile
di Aldo Colonnetti e Mario Cucinella
Come afferma Mario Cucinella, “l’ambiente è un viaggio di solo andata; non è mettendo alberi tra il cemento che combattiamo l’inquinamento. È solo un alibi”. La relazione tra natura e cultura è sempre stata al centro del dibattito scientifico e filosofico: d’altro canto la cultura nasce là dove l’uomo si oppone alla natura.
Basti pensare a uno dei suoi primi gesti quando, circa due milioni di anni fa, costruisce una pietra scheggiata, una sorta di strumento da taglio, ritrovata nella gola di Olduvai, in Tanzania: è l’imprinting dell’uomo, non la trova in natura, è un progetto per migliorare la propria condizione. Migliaia di anni sono passati da allora; la moltiplicazione degli oggetti e degli strumenti, il villaggio che diventa città, i mezzi di comunicazione, i trasporti, le case; abbiamo di fronte un problema enorme che non coinvolge solo gli architetti e i designers. Tutti noi siamo, contemporaneamente, attori e registi, protagonisti del cambiamento ma anche la causa di tutte le contraddizioni che lo sviluppo della società porta con sé.
Mario Cucinella, architetto da sempre attento a queste problematiche progettuali e nello stesso tempo protagonista di grandi interventi in tutto il mondo, anche là dove, come nel continente africano e non solo, siamo di fronte ai primi fenomeni in relazione al rapporto contradditorio “natura e artificio”, parte da una considerazione fondamentale: “progettare e costruire non sono mai azioni ‘innocenti’, modificano gli equilibri esistenti da tutti i punti di vista. Certamente quello energetico, ma non solo; viaggiare nel mondo che cos’è se non trasferire modelli culturali, atteggiamenti che non sempre sono in grado di dialogare con chi ci ospita, le tradizioni, i materiali, la tecnologia ma anche incontrare uno sguardo diverso?”
Uno studio internazionale a Bologna, Milano e New York, curatore del padiglione italiano della Biennale Architettura di Venezia 2018, dedicato a un tema centrale per l’equilibrio non solo paesaggistico del nostro paese, le terre e le piccole e medie città interne, “Arcipelago Italia” e, soprattutto, fondatore e presidente di SOS (School of Sustainability), l’unica scuola in Italia e una delle poche nel mondo dedicata esclusivamente alla cultura di un “fare concretamente sostenibile”: 30 studenti da tutto il mondo, da quest’anno con una nuova sede a Milano (www.schoolofsustainability.it).
“Credo che per pensare e agire, nella propria professione, nel segno di una sostenibilità credibile e non solo utopicamente affermata, in modo particolare rispetto 52 al problema delle ‘città sostenibili’, sia importante partire da un punto: chi rappresenta i diritti della natura in questa transizione/rivoluzione ecologica? Oggi il dibattito è tutto giocato nel campo degli interessi umani e non del pianeta. Troppo debolmente ascoltata la voce di tanti ambientalisti, associazioni e ricercatori da parte di un mondo che guarda prima di tutto agli interessi economici. Un recente libro di Vandana Shiva, “Il Pianeta di tutti” spiega molto bene la situazione delle risorse globali in mano a pochi (1% della popolazione totale). L’ecologia è una parole importante, come lo è la sostenibilità, e andrebbe usata con moderazione e cura. È un viaggio che durerà almeno 40 anni, e deve cominciare proprio da un’educazione fortemente orientata a questo tema”.
Alcuni anni fa, nel 2016, in un dialogo con Gillo Dorfles su questo stesso tema, a proposito della relazione tra la città, il tema della sostenibilità e i mezzi di trasporto, pubblici e privati, emergevano alcune questioni che oggi sono all’ordine del giorno. Con la sua solita chiarezza e visione, sempre attenta alla concretezza del progetto e alle sue conseguenze pratiche nella vita di tutti i giorni, Dorfles così si esprimeva: “oggi la città ha o, comunque, dovrebbe avere uno schema di viabilità quasi imperativo. Naturalmente questo permette una libertà di azione e movimento più ordinata e ovviamente più ‘sostenibile’ da tutti i punti di vista.
Rispetto all’auto elettrica o di un mezzo di trasporto senza guidatore, credo che li vedremo abbastanza presto nelle grandi arterie della circonvallazione urbana esterna.
Quindi, arterie di transito che saranno segnalate apposta per permettere un traffico non personalizzato. Sostenibilità urbana significa questo, ovvero un altro tipo di impianto urbanistico che comunque tenga conto del fatto che un’automobile privata, al di là del concetto di proprietà, sarà sempre l’unico mezzo di libertà dell’uomo per muoversi nel territorio. Me l’ha insegnato un carissimo amico, uno dei più importanti urbanisti del nostro tempo, Oriol Bohigas, autore del famoso piano di Barcellona, in occasione delle Olimpiadi del 1992 e, in Italia, della nuova impostazione urbana di Salerno, finalmente diventata una vera città di mare. Anche questo è segno di un nuovo modo di vivere la città sostenibile”.
È necessario, progressivamente, cambiare paradigma senza, però, dimenticare la necessità di dialogare pragmaticamente con le condizioni della nostra esistenza quotidiana sempre sospesa tra i grandi temi di carattere generale da un lato e il vivere tutti i giorni il territorio dall’altro lato. Al centro, la città come luogo del lavoro, degli scambi commerciali ma, soprattutto, culturali. Un po’ di strada l’abbiamo fatta, ma il percorso è ancora molto lungo perché più ci avviciniamo non diciamo alla soluzione ma, comunque, ad alcune tappe “strutturali”, lo spettro progettuale si ampia perché tutto è connesso, tutto è collegato come una bilancia con un equilibrio mai definito, sempre instabile perché, come dicevamo all’inizio di questa riflessione, il rapporto tra “natura e cultura” è di per sé mobile, non potrà mai essere definito una volta per sempre. Saremo sempre costretti a studiare, aprire strade riformistiche ma anche, se necessario, interrompere percorsi avviati perché non efficaci dal punto di vista del vivere individuale e collettivo. Dalla mostra “Green Life: costruire città sostenibili” alla Triennale di Milano nel 2010, dove i progetti presentati apparivano come “esempi virtuosi” di grande qualità architettonica ma ancora all’interno di un contesto pioneristico, alla situazione attuale sono passati 12 anni. “Ricordo quella mostra, ero presente con l’edificio realizzato per la sede di 3M Italia” sottolinea Cucinella, “ma è un viaggio ancora lungo il nostro. Mi domando: è possibile accontentarsi di alcuni paradossi che non basteranno al cambiamento? Di fronte all’inquinamento degli oceani e ad una evidente e scientificamente provata perdita di fauna e flora causata da un’azione sempre più pesante della pesca, la nostra reazione è, ad esempio, quella di realizzare scarpe con reti da pesca disperse in mare. In questo caso l’economia circolare è un paradosso. È un modo di pensare che è ancora figlio di una visione produttiva, non ecologica. Di fronte al problema ecologico la risposta non è la salvaguardia, ma la produzione di oggetti che non dovrebbero esistere”. Alzare lo sguardo, avere sempre un modello teorico di riferimento che comprenda il particolare nell’universale, per usare un linguaggio caro ai grandi filosofi, altrimenti ci scappa sempre qualcosa che con comprendiamo.
Da qui il rifiuto del mondo nella sua totalità e, quindi, la nascita di un’ideologia nel segno di una soluzione finale e definitiva, ovviamente, non realizzabile.
Prendiamo le nostre città: assistiamo ad alcuni cambiamenti, in parte ora accelerati dalla condizione post-pandemica. La pista per le biciclette, l’uso degli spazi esterni per vivere nel segno di una parziale sicurezza sanitaria, una maggiore attenzione al verde. Tutto bene allora? “Le città hanno cominciato politiche di forestazione urbana” precisa Cucinella, “è una cosa buona e giusta, ma non è mettendo alberi tra il cemento che combatteremo l’inquinamento. Queste azioni aiutano a costruire un alibi, lontano da problemi difficili da affrontare, anche politicamente. Costruire non è un’azione sostenibile per la semplice ragione che qualunque edificio nasce dall’uso di risorse primarie e da processi industriali altamente inquinanti. I dati non vengono esposti, solo annunci in cui si presentano edifici a impatto quasi zero.
Questo non fa bene alla crescita di una nuova generazione di edifici, non fa bene nemmeno alle nostre città. Parliamo di rigenerazione urbana che molte volte si trasforma in gentrification; le città devono fare politica di rigenerazione non solo per aumentare i valori immobiliari, ma per una crescita sociale, come già parzialmente accade in città come Londra o New York”.
La città come parte di un sistema territoriale più complesso e più ampio. Sono insostituibili le città e la tendenza futura sarà nella direzione della moltiplicazione numerica degli insediamenti urbani. Entro il 2030 le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti dalle attuali 33 diventeranno 39, arrivando ad ospitare il 9% della popolazione e a produrre il 15% del Pil mondiale. Dobbiamo ripensare
tutto il sistema, rimettendo al centro la relazione tra il “piccolo” e il “grande” tra la campagna e la città. La massa vegetale presente sul pianeta è di circa tre trilioni di alberi e ad oggi non è più sufficiente per assorbire le emissioni di CO2 che produciamo. Avremmo spazio, secondo l’ETH di Zurigo, per un 1,2 trilioni di nuovi alberi, ma non basteranno a mantenere lo sviluppo attuale.
Da qui, come osserva Cucinella, “bisogna mettere al centro la protezione delle campagne, della natura che circonda le nostre città e i nostri eco-sistemi. La città è insostituibile, bisogna proteggerla, non trasformarla in altro, una sorta di Luna Park da visitare. Il ruolo della cultura, nel suo significato di scambio di conoscenza ed esperienze, è centrale, per evitare una sorta di desertificazione urbana a cui assistiamo, soprattutto, in alcuni periodi dell’anno”.
Come sempre, accanto alle attività progettuali, per pensare a un futuro prossimo migliore, bisogna mettere in campo l’arte con la sua capacità di guardare oltre il proprio tempo senza, però, sostituirsi alla scienza, al sapere tecnologico e alle attività delle cosiddette arti applicate, tra le quali fondamentali è il ruolo dell’architettura e del design industriale. Arte come sguardo in avanti. Nel 1992, in occasione di una delle prime Triennali di Milano dedicate a questo tema, “La città tra cose e natura: il progetto e la sfida ambientale”, nella sezione curata da Angelo Cortesi fu ospitata una mostra curata da Aldo Colonetti e Gianni Sassi, “Fare Naturale”, alla quale furono invitati musicisti (John Cage e Walter Marchetti), poeti (Amelia Rosselli e Biagio Cepollaro), illustratori, (Andrea Pedrazzini), artisti (Nanni Balestrini, Giovanni Tufano, Giuliano Mauri, Michelangelo Jr), designer (Franco Bucci). L’immagine generale era affidata a un manifesto con al centro un’opera di Claudio Parmiggiani, “Alchimia”: una fusione in bronzo di un viso di un giovane, nella tradizione della scultura della Grecia Classica, con in testa un ramo di un albero. Come ad affermare: la natura dell’uomo è al centro di tutte le altre nature. Anzi, esiste una sola natura: è quella del pensiero. Da qui ricominciamo per ripensare tutte le attività progettuali: è necessario un’ecologia della mente, come scriveva nel suo saggio “Verso un’ecologia della mente” Gregory Bateson nel 1972. Il Compasso d’Oro, il premio più importante a livello internazionale, istituito dall’ADI nel 1954, dedicato al design industriale, rimanda ai rapporti esistenti in natura e in architettura. Il Partenone di Atene e la scultura di Fidia sono il risultato di questa proporzione, ovvero la parte più corta sta alla più lunga come questa sta all’intero segmento: si chiama sezione aurea ed è presente nel mondo vegetale, in quello animale e ovviamente nel corpo umano.
Ovviamente non dobbiamo disegnare tutto secondo questo modello compositivo; ci insegna e ci ammonisce, comunque, che pensare la natura significa rispettarne le sue regole che appartengono alla suo “essere”. Natura e artificio nel segno di un pensiero in grado di leggere le differenze; le nostre città devono ripartire da qui.
Aldo Colonnetti, filosofo, storico e teorico dell’arte, del design e dell’architettura. Dal 1985 al 2013 è stato direttore scientifico dello IED (Istituto Europeo Design); dal 1991 al 2014, direttore della rivista Ottagono. Ha fatto parte del Comitato scientifico Triennale di Milano, del Comitato Presidenza ADI, del Consiglio Nazionale del Design. Autore di saggi, ha curato mostre in Italia e all’estero.
Mario Cucinella, fondatore di MCA – Mario Cucinella Architects, studio di architettura e design che oggi ha sede a Bologna e Milano e di cui è anche direttore creativo e di SOS – School of Sustainability, una scuola per giovani professionisti neolaureati che ha l’obiettivo di fornire loro gli strumenti necessari per affrontare le questioni ambientali con un approccio aperto, olistico e guidato dalla ricerca.
L’importanza del suo lavoro ed il continuo impegno, come architetto e educatore, su tematiche ambientali e sociali, sono stati riconosciuti con la International Fellowship del Royal Institute of British Architects (2016) e con la Honorary Fellowship dell’American Institute of Architects (2017).
Nel 2018 è stato curatore del Padiglione Italia alla 16ª Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Ha insegnato presso le università di Ferrara, Napoli, Monaco di Baviera, Nottingham. E’ autore di molte pubblicazioni, tra le più recenti: Building Green Futures (2020, edito da Forma) Architettura dell’educazione (2021, edito da Maggioli) Il futuro è un viaggio nel passato. Dieci storie di architettura (2021, edito da Quodlibet).