L’Archivio Missoni
Intervista a Luca Missoni
La nostra conversazione con Luca Missoni sul tema dell’archivio di moda inizia con un serie di domande poste da Luca stesso e relative all’inquadramento dell’archivio all’interno dell’impresa e sulla sua sostenibilità. L’archivio è una categoria particolare di museo d’impresa? Quale risvolto ha a livello commerciale? Perché si conserva? E se ci sono dei costi, come vengono gestiti? È un’attività o una passività? Che rapporto ha l’archivio con un bilancio di sostenibilità? “Sono tutte riflessioni, che non vengono mai abbastanza approfondite” sostiene Missoni. “Tutto dipende da come conservi. Se conservi e basta diventa una passività. Deve esserci una finalità”.
Quando è nato l’archivio?
La prima raccolta archiviale si è creata nel 1978 a seguito della mostra alla Rotonda della Besana per i 25 anni. In questo progetto espositivo c’erano esempi storici di quello che era stato fatto tra gli anni 60 e 70. I miei genitori avevano dovuto recuperare i modelli chiedendo ad amici, parenti e conoscenti. Venivano dagli armadi di casa, o da quelli di amiche, clienti, giornaliste. Avevamo poco in archivio. In realtà in azienda non c’erano neanche gli spazi dedicati. Da allora ci si è resi conto dell’importanza di conservare degli esempi significativi del loro lavoro iniziando ad avere un archivio organizzato. All’inizio è difficile che si pensi di creare l’archivio del lavoro, perché si è più interessati a produrre e a vendere.
Qual è stato il momento di svolta?
C’è stato un momento, tra il 2008 e il 2012, di consapevole trasformazione da un “magazzino archiviale” a qualcosa di organizzato non solo fisicamente, ma anche digitalmente. È stato quindi creato un software gestionale che ha trasformato l’archivio da qualcosa di esclusivamente fisico a qualcosa di consultabile anche virtualmente, permettendo anche una ricerca incrociata dei dati e una trasversalità delle informazioni. L’innovazione è elemento cruciale per l’Archivio. Bisogna essere al passo con le nuove tecnologie di virtualizzazione come la realtà aumentata, il virtual try-on e l’AI, per creare un’esperienza coinvolgente per chi viene in visita ma soprattutto per ottimizzare il lavoro dei nostri uffici stile che trovano ispirazione nell’heritage che conserviamo per proiettare il DNA nel futuro.
Quali periodi della produzione sono conservati nell’archivio? Che tipo di oggetti, oltre agli abiti?
Si ripercorre la storia del brand, partendo dall’incontro dei miei genitori alla fine degli anni 40 e dalle prime produzioni della metà degli anni 50. Dalla metà degli anni 60, con il progressivo incremento della produzione, nascono per necessità produttive le prime raccolte di campioni e dei relativi documenti come cartelle colori, schede di produzione, foto di campionari. Era, soprattutto, mio padre che se ne occupava, ponendo una particolare attenzione nel conservare ritagli di giornale come in un album di famiglia. Dalla metà degli anni 70 in poi si comincia a conservare in modo più strutturato una selezione significativa di capi d'abbigliamento delle collezioni uomo e donna Missoni, oltre ad accessori, scarpe e borse, campioni di tessuto, stampe, editoriali, libri, fotografie, cataloghi e materiale audiovisivo. Conserva inoltre l'opera artistica di Ottavio Missoni costituita da arazzi patchwork, disegni originali e studi tessili.
Quali sono altre mostre che hanno segnato momenti importanti?
Nel 1994 la mostra “Missonologia” per il 40° anniversario è un’esposizione tematica di capi presentati come rappresentazioni della trasversalità di un linguaggio evolutosi nel tempo. Il relativo catalogo è tuttora un documento attuale per illustrare e descrivere i contenuti dello stile Missoni. Nel 1995 c’è stata una mostra chiamata “Ottavio e Rosita Missoni Story”. In quel momento abbiamo creato una rassegna storica iconografica su pannelli espositivi, interpretata da un punto di vista più personale, scegliendo immagini non ufficiali e fotografie di famiglia accanto a quelle dei release ufficiali o dei giornali. Il lavoro è stato possibile perché esisteva già in Archivio una raccolta trentennale di ritagli di giornale. È considerato il primo progetto Archiviale e tuttora rappresenta un’avanguardia del modello comunicativo per immagini che oggi si utilizza ampiamente anche nei social. Inizia un periodo denso di progetti espositivi come “Opera” a Tokyo (1996), “Caleidoscopio Missoni” a Gorizia (2006), “Taller Missoni” a Madrid (2009), “Workshop Missoni” a Londra (2009), “Ottavio Missoni. Il Genio del Colore” in Slovenia e Croazia (2012), “MISSONI, ARTE, COLORE”' a Gallarate (2015), e a Londra (2016), “Marc Chagall-Ottavio Missoni, Sogno e Colore” a Noto, Sicilia (2017). Le mostre realizzate grazie all’esistenza dell’Archivio, oltre ad essere progetti culturali e artistici, sono un importante strumento di comunicazione per l’heritage del brand.
Anche il 50° anniversario nel 2003 è stato importante
Sì, è stata fatta una sfilata retrospettiva con cento modelli d’Archivio rappresentativi di uno stile riconoscibile in modo trasversale che in 50 anni di storia li ha portati da pionieri del pret-à-porter italiano a brand di moda conosciuto in tutto il mondo.
Quando vi siete trasferiti in questo spazio?
Ci siamo trasferiti in questo spazio nel 2022. È uno spazio di 1500 metri quadri, accogliente e luminoso, progettato in modo che il team creativo del brand possa immergersi in un'atmosfera ricca di stimoli per progettare le future collezioni. È anche aperto su richiesta per studenti e ricercatori che abbiano bisogno di approfondire la loro conoscenza della Moda e dell'Arte Italiana. In alcune occasioni speciali apre anche al pubblico valorizzando l’aspetto storico – artistico dei suoi contenuti.
Come conservate e documentate ogni abito?
Gli abiti vengono fotografati e poi conservati piegati in scatole di cartone. È la natura del tessuto a maglia che detta i sistemi di conservazione. Nel 2003, con la sfilata per i 50 anni, ci siamo resi conto della necessità di una documentazione fotografica omogenea. Dopo essere stato fotografato e inserito nel sistema digitale, ogni abito è minuziosamente descritto utilizzando un lemmario prestabilito. Viene poi completata la scheda inserendo le associazioni trasversali con altri tipi di elementi correlati come il tessuto, i redazionali, le fotografie, le immagini di mostre in cui è stato esposto e di personaggi che lo hanno indossato. Tutto questo è consultabile internamente sul software archiviale, oltre che fisicamente in Archivio
Come avete affrontato questo compito?
Dal 2011 abbiamo partecipato a un grande progetto della Comunità Europea, chiamato Europeana Digital Library, che ha co-finanziato le operazioni di digitalizzazione al fine di creare un grande portale europeo dell’heritage della moda. Un progetto ambizioso che ha uniformato le linee guida su sistemi e parametri archiviali. Ci è servito perché abbiamo avuto la consapevolezza e progettare un software archiviale su misura e formare il personale per utilizzarlo in modo costruttivo. Dal 2012 quindi abbiamo un nostro software sviluppato per rispondere alle nostre esigenze. Questo processo da allora è in continuo sviluppo. Abbiamo anche un sito web: www.archiviomissoni.org.
Quante persone lavorano in archivio?
Oggi abbiamo undici persone che lavorano quotidianamente. Inoltre, per il tipo di lavoro che svolgiamo, possiamo anche impiegare persone con disabilità, per cui collaboriamo al progetto Isola Formativa della Regione Lombardia. Qui c’è un ambiente di lavoro più sereno rispetto a quello di una fabbrica, o di un laboratorio. È un progetto che è partito dalle Human Resources e oggi è ben integrato nel nostro sistema.
Quali sono gli abiti più importanti in archivio?
In tutto ci sono 26.000 abiti circa. Tra questi sono stati selezionati circa 700 looks significativi, fotografati sullo stesso manichino e con le stesse modalità. Da un lato, c’è il fattore innovazione nella produzione del tessuto e della stampa; d’altra parte, c’è il tema della forma e della Moda. Questa raccolta è il nostro Museo Virtuale della Moda, a disposizione di curatori o rappresentanti dei dipartimenti del costume dei musei e di chi vuol fare una ricerca sulla moda, lo stile e l’estetica di Missoni.
Avete mostre in programma?
Abbiamo una fruttuosa collaborazione con il Maga di Gallarate, con cui ci troviamo molto bene. In una sala abbiamo gli arazzi di mio padre in prestito permanente e sui muri della stessa sala abbiamo la possibilità di fare mostre sempre diverse. Per esempio, in occasione della loro mostra di Warhol abbiamo esposto delle serigrafie, per mostrare il loro uso nella moda. Ne abbiamo fatta un’altra sulla fotografia di moda con opere di Alfa Castaldi, che ha documentato, insieme alla moglie Anna Piaggi, storica della moda, gli abiti dagli anni 60 in poi. Ora c’è una mostra sull’illustrazione di moda negli anni 90 di Gladys Perint Palmer. Stiamo lavorando anche sulla fotografia pubblicitaria.
Altre mostre all’esterno?
Ci sono vari progetti espositivi su Missoni che sveleremo presto. Inoltre, siamo sempre coinvolti da istituzioni culturali e musei di Moda e Arte a cui prestiamo capi e oggetti archiviali per loro mostre tematiche. Realizziamo anche allestimenti nei nostri negozi come in occasione di Milano Museocity 2024.
E i progetti all’interno dell’archivio?
Abbiamo messo a punto un’esperienza di realtà aumentata in cui si possono esplorare i capi ricreati attraverso la tecnologia 3D a 360° tramite smartphone con un QR Code. Inoltre, abbiamo un Camerino Virtuale, e ci stiamo evolvendo verso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia per catalogare i tessuti ad uso interno della filiera, sia per animare immagini archiviali per una narrazione dinamica dei contenuti archiviali.
Fate parte di una rete di archivi?
Sì, siamo inseriti in varie reti del territorio come Archivi del Contemporaneo ma anche a livello nazionale e internazionale come AITART, Museocity, European Fashion Heritage Association
E con gli altri dipartimenti aziendali lavorate?
Chi lavora nel dipartimento di ricerca e sviluppo ha capito che l’archivio rappresenta una fonte a cui attingere. Non si tratta di copiare dal passato e ripetersi, ma di saper usare quanto già prodotto per interpretare la tradizione in modo innovativo. Abbiamo organizzato dei tour di induction e onboarding per i dipendenti per far capire le possibilità dell’archivio e spesso anche i clienti vengono a farci visita.