di Jean-Daniel Regna-Gladin

Negli ultimi anni, il confine tra il terzo settore e il mondo dell’impresa, nonché della finanza, si è progressivamente assottigliato. Le tematiche legate alla sostenibilità, sociale e ambientale, un tempo relegate ai margini delle priorità aziendali, sono ora al centro delle strategie di molte organizzazioni economiche. Questo cambiamento nasce da una crescente consapevolezza che il benessere collettivo e la tutela del pianeta possono e anzi devono coesistere con il successo economico e imprenditoriale.

A testimonianza di questa trasformazione, il panorama normativo, soprattutto a livello europeo, si è arricchito di numerose iniziative volte a promuovere la sostenibilità e la trasparenza nella gestione aziendale. Tra queste si possono ricordare la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la proposta di direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence (CSDDD).

Ritorno economico e Impact

Il concetto di Impact è ormai diventato un punto di riferimento per molti investitori. E ormai da tempo, invero, questo termine ha affiancato quello di Return, riferito alla generazione di ritorni finanziari, quanto alla creazione di effetti positivi (e misurabili) per la società e l’ambiente. Sia sufficiente in questo senso ricordare le intuizioni di Sir Ronald Cohen o le parole emblematiche di Larry Fink, che ha più volte sottolineato come la sostenibilità rappresenti un motore di performance a lungo termine.

Non sorprende quindi che gli investimenti in fondi di tipo Impact o Articolo 9, secondo la classificazione voluta dalla SFDR, siano cresciuti e stiano ancora crescendo rapidamente, segno che il mercato sta riconoscendo il valore economico della responsabilità sociale.

Il modello delle Società Benefit in Italia

In Italia una delle iniziative legislative più interessanti in questo senso è rappresentata dalla istituzione delle Società Benefit, forma giuridica societaria introdotta nel 2016 con l’idea di permettere alle aziende di combinare - nell’ambito dell’oggetto sociale declinato nello statuto - il tipico scopo di lucro con uno scopo “di beneficio comune”. A differenza delle imprese tradizionali, le Società Benefit dunque integrano nel proprio statuto obiettivi specifici di impatto sociale e ambientale, rendendo tali obiettivi parte integrante e prioritaria della loro attività.

Si tratta quindi di un modello giuridico potenzialmente molto attrattivo per quegli investitori che intendono allineare le strategie di business con il perseguimento di propri valori o di obiettivi ulteriori, sociali, filantropici, ambientali.

Detto ciò, nonostante una crescita significativa – con oltre 4.000 realtà in Italia e un’accelerazione anno per anno – le Società Benefit non sembrano aver raggiunto del tutto il boom auspicato da chi, incluso anche il sottoscritto, è convinto si tratti di un modello virtuoso da seguire.

Una delle ragioni di ciò potrebbe risiedere nel rischio di greenwashing o di socialwashing: alcune realtà potrebbero presentare un’immagine di sostenibilità non corrispondente alla realtà, con conseguenze dannose sia per l’azienda stessa, sia per i consumatori e anche per quegli investitori attratti dalla “dichiarazione di intenti” statutaria.

Il primo caso italiano di preteso greenwashing è stato discusso in un’aula giudiziaria ormai anni orsono, nel 2022 presso il Tribunale di Gorizia, il che evidenzia come questo tema sia ormai concreto, anche nel nostro Paese.

In effetti le Società Benefit, proprio per la loro natura, appaiono per definizione esposte a tali rischi, forse anche perché i loro obiettivi di “beneficio comune” sono spesso difficili da quantificare e verificare.

Le Imprese Sociali: una soluzione alternativa anche per gli investitori finanziari?

Le Imprese Sociali rappresentano una forma di organizzazione economica del tutto peculiare, che pone al centro della propria attività economica obiettivi di interesse generale anziché (e non accanto, come per le Società Benefit) il profitto: il che, quantomeno a livello generale, sembra scongiurare il rischio legato al greenwashing. Nate per rispondere a bisogni collettivi, queste realtà sono a tutti gli effetti Enti del Terzo Settore, pur nell’intenzione di coniugare una “missione collettiva” con l’efficienza tipica delle imprese private.

Il quadro normativo delle Imprese Sociali è stato consolidato con il Decreto Legislativo 112/2017: tra le principali disposizioni il decreto definisce i requisiti per ottenere lo status di Impresa Sociale, tra cui qui interessa menzionare in particolare l’impossibilità - salvo quanto diremo tra poco - di distribuire dividendi ai soci, con la necessità di reinvestire gli utili per il perseguimento della missione sociale.

In effetti la normativa consente alle Imprese Sociali di riconoscere ai propri soci una parte degli utili generati entro vincoli estremamente rigorosi (Articolo 3 D. Lgs. 112/2017). Nello specifico, la distribuzione può riguardare fino al 50% dell’avanzo di gestione, con un limite massimo pari al tasso di interesse dei buoni postali fruttiferi maggiorato di 2,5 punti, calcolato sul capitale effettivamente conferito dai soci.

Questa caratteristica, che differenzia quindi nettamente l’Impresa Sociale dalle Società Benefit e dalle imprese tradizionali, ponendole in una posizione unica nel panorama economico, potrebbe però, almeno in prima istanza, diminuire il potenziale interesse di un investitore finanziario, che è tipicamente attratto dalla remunerazione del capitale di rischio investito nell’impresa target.

Tuttavia a ben vedere esistono anche opportunità significative per un investitore che ciononostante decida di investire in una Impresa Sociale, opportunità che sono legate proprio agli obblighi normativi sulla sostenibilità menzionati in apertura, così come all’utilizzo di strumenti finanziari innovativi, che potrebbero compensare tali “limiti” apparenti.

Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)

La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) è una direttiva europea di cruciale importanza per promuovere la trasparenza e la sostenibilità nel contesto aziendale. Entrata in vigore nel 2024, questa norma rappresenta un significativo passo avanti rispetto alla precedente Non-Financial Reporting Directive (NFRD), ampliando notevolmente il perimetro delle aziende soggette all’obbligo di rendicontazione e introducendo requisiti più stringenti in termini di qualità e comparabilità delle informazioni. Tra i principali obiettivi vi sono l’incremento della trasparenza e la facilitazione per gli investitori nell’assumere decisioni consapevoli basate su dati verificabili. Le aziende devono rendicontare non solo l’impatto delle proprie attività su fattori ESG, ma anche i rischi che tali fattori possono comportare per il business aziendale. Un elemento innovativo della CSRD è l’introduzione degli standard di rendicontazione sviluppati dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), che garantiscono uniformità e completezza nei report. Inoltre, è previsto che le informazioni fornite siano sottoposte a verifica da parte di enti esterni, migliorando ulteriormente l’affidabilità dei dati.

Per quanto riguarda l’Italia, la CSRD è stata recepita con il Decreto Legislativo n. 125 del 6 settembre 2024, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 212 del 10 settembre 2024, che ne stabilisce le modalità di attuazione a livello nazionale. Questo decreto impone alle imprese italiane obbligate di adeguarsi alle nuove disposizioni a partire dai bilanci del 2024, con una progressiva estensione del campo di applicazione anche alle PMI quotate entro il 2026.

L’attuazione della CSRD in Italia rappresenta una sfida per l’intero sistema economico, ma anche un’opportunità per le Imprese Sociali.  Per coloro che scegliessero di investire in Imprese Sociali, infatti, esisterebbe l’opportunità di integrare le attività di queste realtà all’interno dei propri report di sostenibilità, così dimostrando, nell’alveo dei nuovi obblighi normativi, il proprio impegno nel supportare iniziative ad alto impatto sociale e ambientale e rafforzando oltretutto la propria immagine di investitori responsabili e sostenibili.

È quindi così riscontrabile una prima possibile “compensazione” dei predetti limiti alla remunerazione dei soci/investitori, in apparenza così disincentivanti.

Bond “sociali” e SIB: un ponte tra sostenibilità e rendimento

D’altra parte, un’ulteriore ipotesi innovativa, utile ad attrarre capitali verso le Imprese Sociali, è rappresentata dalla possibile emissione di obbligazioni (titoli di debito). Anche le Imprese Sociali infatti possono ricorrere a questi strumenti, sempre ovviamente nel rispetto dei vincoli imposti dal D. Lgs. 112/2017 e della natura della propria attività, che deve restare non lucrativa.

Questi strumenti finanziari permetterebbero di utilizzare il debito come veicolo per generare ritorni economici per gli investitori e, al contempo, finanziare progetti ad alto impatto sociale. Le obbligazioni “sociali” potrebbero rappresentare un modello virtuoso, bilanciando la necessità di sostenibilità con la ricerca del rendimento.

Vi sono poi anche i Social Impact Bond (SIB), strumento finanziario (che è diverso dal classico titolo obbligazionario) finalizzato a raccogliere capitali privati per promuovere politiche pubbliche innovative nel campo dei servizi sociali. Alla base dello strumento, emblema dell’Impact Investing promosso ormai da decenni proprio da Sir Cohen, citato in apertura, vi è un accordo che vede coinvolta tipicamente anche la Pubblica Amministrazione, accanto al fornitore del servizio sociale (i.e. nel nostro caso l’Impresa Sociale) e l’investitore/finanziatore.

Il rendimento per l’investitore sarà strettamente connesso (rectius dipenderà) dall’ottenimento dei risultati di impatto sociale da parte dell’Impresa Sociale, il che come anticipato distingue lo strumento dal tipico titolo obbligazionario.  Di talché, se l’impatto sociale – che naturalmente deve essere misurabile, con le difficoltà che ciò comporta stante la difficoltà nel rendere oggettivo il risultato sociale positivo – non fosse raggiunto, le risorse verrebbero meno per i periodi successivi.

Si tratta indubbiamente di strumenti complessi e sofisticati, ma che dimostrano ulteriormente la possibilità di coniugare in modo soddisfacente la logica del ritorno economico e finanziario, con quella dell’impatto sociale e ambientale.

Conclusione

Le Imprese Sociali rappresentano una componente fondamentale dell’ecosistema economico italiano per la promozione di uno sviluppo più equo e sostenibile. Per valorizzare appieno il loro potenziale è necessario superare le barriere esistenti, che talvolta sono più che altro di natura informativa, aumentando la consapevolezza del loro ruolo e incentivando strumenti di supporto adeguati.

L’Impresa Sociale in Italia si trova al crocevia tra responsabilità sociale e sostenibilità economica. Sebbene esistano sfide significative, come il rischio di greenwashing e una comprensibile freddezza da parte degli investitori istituzionali, strumenti innovativi come le obbligazioni “sociali” o i SIB potrebbero rappresentare una soluzione efficace.

D’altra parte in un contesto normativo sempre più orientato alla trasparenza e all’impatto, le Imprese Sociali hanno l’opportunità di giocare un ruolo di primo piano nel futuro dell’economia sostenibile, potendo a pieno titolo entrare in logiche “di gruppo” nel rispetto dei nuovi obblighi di reportistica.

In definitiva, per valorizzare al massimo il potenziale di queste realtà, la strada passerà necessariamente attraverso la consapevolezza, l’innovazione e la collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, così come il mantenimento della fiducia in un futuro sostenibile e anche durevole, sul pianeta Terra e non in una galassia lontana, nonostante un contesto generale che ogni giorno appare sempre più compromesso.


Jean-Daniel Regna-Gladin è Partner del dipartimento di diritto societario e commerciale, fusioni e acquisizioni di PedersoliGattai e opera nella sede di Milano. Ha maturato una considerevole esperienza assistendo gruppi industriali e fondi di private equity con riferimento a temi di corporate governance, operazioni di M&A, joint venture e ristrutturazioni aziendali. Assiste i propri clienti anche in ambito contenzioso. Ha una vasta esperienza in tema di ESG ed è membro del Comitato dello Studio dedicato alla sostenibilità.