Silvia Anna Barrilà

Ha fatto scalpore un anno fa l’attribuzion1e di un dipinto a Raffaello grazie al ricono- scimento facciale: sulla base delle somiglianze tra il volto della Madonna del Tondo di Brécy, precedentemente non attribuito, e la Madonna Sistina di Raffaello, un grup- po di ricercatori dell’Università di Nottingham e dell’Università di Bradford ha sta- bilito che esiste una probabilità del 97% che il dipinto rotondo, studiato dagli storici dell’arte per decenni, sia opera del celebre Maestro Antico. Allora può l’intelligenza artificiale riconoscere ciò che l’occhio umano e l’esperienza dello specialista non vede? Piuttosto può supportarlo e costituire uno strumento in più in mano agli studiosi. Sono tante, infatti, le possibilità di applicazione dell’intelligenza artificiale (IA) in ambito culturale per la conservazione, comprensione, valorizzazione e fruizione del patrimonio. Per esempio:

1. Conservazione e restauro: L’IA può coadiuvare nella conservazione e nel restauro di manufatti storici e opere d’arte. Attraverso l’analisi delle immagini ad alta risoluzione, può individuare danni o difetti, aiutando i restauratori a prendere decisioni più informate.

2. Analisi e data mining: L’IA può essere utilizzata per analizzare grandi quantità di dati e informazioni relative al patrimonio culturale, permet- tendo di individuare modelli, correlazioni o informazioni nascoste che possono essere utili per gli studiosi e i curatori.

3. Catalogazione e archiviazione: L’IA può automatizzare e migliorare il processo di catalogazione dei beni culturali, facilitando la creazione di archivi digitali e la gestione delle collezioni.

4. Accessibilità: Attraverso sistemi di riconoscimento e analisi, l’IA può rendere più accessibili i beni culturali, ad esempio fornendo descrizioni dettagliate delle opere d’arte per le persone con disabilità visive.

5. Ricostruzione virtuale: Utilizzando l’IA è possibile creare modelli e ri- costruzioni virtuali di siti archeologici o edifici storici, consentendo di esplorarli digitalmente e preservarli in modo più accurato.

6. Sistemi di raccomandazione culturale: Basandosi sull’apprendimento automatico, l’IA può consigliare ai visitatori o agli utenti online altre opere o siti culturali basandosi sui loro interessi e sul comportamento di navigazione.

7. Autenticazione e rilevamento delle contraffazioni: I sistemi basati sull’IA possono aiutare a identificare opere d’arte contraffatte o a veri- ficarne l’autenticità attraverso l’analisi di firme, stili artistici e altri attri- buti.

8. Traduzione e interpretazione: Gli strumenti di traduzione automatica basati sull’IA possono agevolare la comprensione e l’interpretazione di testi antichi o documenti storici.

Nella pratica sono già tanti i casi di applicazione dell’IA per la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale. L’Istituto Italiano di Tecnologia ha utilizzato l’IA in diversi progetti. Per esempio, nel programma Cultural Landscape Scanner (CLS), che mira ad individuare siti archeologici nascosti nel sottosuolo, come monu- menti antichi sepolti, attraverso tecniche di Earth Observation (EO) e modelli di Intelligenza Artificiale (AI) per l’analisi automatica delle immagini telelerilevate. Infatti, di fronte alla proliferazione di dataset telerilevati aperti, come quelli del Copernicus Service, sono necessari strumenti per l’elaborazione, gestione e inter- pretazione dei dati. Il progetto CLS risponde a tale sfida sviluppando modelli di Intelligenza Artificiale (AI) che ricercano immagini di telerilevamento di specifici oggetti del patrimonio culturale e relativi a passate interferenze antropogeniche nei paesaggi, integrando l’approccio di apprendimento automatico all’avanguar- dia con la ricerca archeologica e il lavoro sul campo. Il progetto, che è il risultato di una partnership tra il Center for Cultural Heritage Technology dell’IIT e l’Agenzia spaziale europea (ESA) nell’ambito del programma di ricerca co-finanzia- to dall’ESA “Discovery & Preparation”, prevede l’addestramento della macchina affinché, come l’occhio dell’esperto, riconosca che una certa vegetazione, per esempio, può rimandare alla presenza di un sito archeologico, un esperimento partito dalla zona di Aquileia. L’idea è che l’algoritmo sia disponibile non solo per archeologi e ricercatori, ma anche per chi si occupa di pianificazione territoriale e del paesaggio: uno strumento di scansione utile ad una sorta di “archeologia preventiva”, come l’ha definito la responsabile del programma Arianna Traviglia. Un altro progetto in cui è coinvolto l’Istituto Italiano di Tecnologia è RePAIR, coordinato dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. RePAIR è l’acronimo di Re- constructing the Past: Intelligenza Artificiale e Robotica incontrano il Patrimonio Culturale. Il progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea, nell’ambito del Grant Agree- ment n. 964854. L’obiettivo principale di RePAIR è sviluppare una tecnologia innovativa per la ricostruzione fisica delle opere d’arte distrutte. Vasi, anfore, affreschi e altri manufatti antichi provenienti da tutto il mondo, che non sono sopravvissuti intatti o sono stati riportati alla luce dai siti di scavo sotto forma di frammenti danneggiati. La ricostruzione viene tipicamente eseguita da operatori esperti, possibilmente con l’assistenza di software dedicati, ma quando il numero di frammenti è elevato, nell’ordine delle migliaia, il restauro manuale o assistito da computer è quasi impossibile, per cui gran parte del patrimonio culturale mondiale rimane inaccessibile. Sviluppando e integrando nuove tecnologie nei campi della robotica, della visione artificiale e dell’intelligenza artificiale, il pro- gramma immagina un futuro in cui l’archeologia potrà affrontare efficacemente i problemi di ricostruzione su una scala senza precedenti e riportare in vita opere d’arte antiche e capolavori distrutti. I primi esperimenti sono partiti dal sito di Pompei, in particolare su due affreschi che ora sono frantumati in migliaia di pezzi e conservati nei magazzini.

Anche gli archivi, con la grande quantità di dati che contengono, sono terreno di applicazione dell’Intelligenza Artificiale. Ad esempio, al Polo del ‘900 di Torino, l’ingegnere Salvatore Iaconesi, prematuramente scomparso nel 2022, e Oriana Persico, esperta di comunicazione, in collaborazione con il centro di ricerca HER – Human Ecosystems Relazioni e con il sostegno della Compagnia di San Paolo, hanno presentato nel 2018 SAS, acronimo di Smart Archive Search: un progetto per utilizzare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale per aprire le porte della ricerca archivistica a fasce di popolazione diversificate partendo dagli archivi di 9centRo.

Il loro lavoro si basava su software che, utilizzando tecniche come l’Analisi di Linguaggio Naturale e la computer vision, navigano gli archivi e ne leggono automaticamente i contenuti, imparando progressivamente a riconoscere for- me, colori e concetti. Grazie a questo sistema è possibile superare le classiche ricerche per parola-chiave, accedendo a interfacce sempre più intuitive e naturali. All’aspetto tecnologico si unisce quello partecipativo-performativo attraverso il coinvolgimento degli abitanti di Torino per l’addestramento dell’Intelligenza Ar- tificiale sugli archivi, la storia e i protagonisti del ‘900.

Anche a livello internazionale gli esempi di applicazione dell’Intelligenza Artifi- ciale alla tutela e promozione del patrimonio culturale sono numerosi. Impor- tanti musei come il MoMA di New York e la Tate di Londra hanno sviluppato progetti di questo tipo. Il museo americano ha realizzato una collaborazione con il Google Art & Culture Lab, chiamata “Identifying art through machine learning”, attraverso la quale ha analizzato la documentazione fotografica di 30.000 immagini relative alle mostre che si sono tenute nel museo dalla prima esposi- zione nel 1929 al presente. Le fotografie non contenevano informazioni sulle singole opere esposte, ma costituivano un’importante fonte di informazione sto- rico-artistica. Attraverso il machine learning si è potuto identificare tutte le opere e trasformare questa documentazione in una banca dati di opere interrogabile. L’algoritmo è riuscito a identificare più di 20.000 opere in modo completamente automatico. Ora gli utenti, sul sito del MoMA, possono vedere le fotografie delle mostre, possono cliccare sulle opere esposte e ottenere informazioni sulle stesse. Già nel 2016 la Tate ha mostrato il progetto “Recognition”, vincitore del premio IK Prize, in collaborazione con Microsoft, che metteva in relazione la collezione d’arte e il fotogiornalismo, confrontando le immagini della collezione di British Art del museo inglese con quelle delle notizie dell’agenzia Reuters per creare correlazioni tra passato e presente. Il progetto è stato presentato sotto forma di mostra online e all’interno del museo, dando al pubblico la possibilità di par- tecipare e proporre le proprie relazioni. Il confronto si basava su quattro tipi di analisi: il riconoscimento di oggetti nell’immagine, il riconoscimento facciale, che individua età, genere ed emozioni, l’analisi del contesto e della composizione dell’immagine. L’idea è stata proposta dal centro di ricerca di Treviso Fabrica, parte del gruppo Benetton, che ha collaborato con JoliBrain, specializzati in IA e provenienti da Tolosa.

Da Open AI a Microsoft, le big companies tecnologiche stanno investendo mol- to nell’ambito. Per esempio, Microsoft lo fa con il programma AI for Culturale Heritage, attraverso il quale sostiene individui e organizzazioni con collabora- zioni, partnership e finanziamenti per sviluppare progetti innovativi di conser- vazione e arricchimento del patrimonio culturale in tutto il mondo. L’azienda ha stanziato dieci milioni di dollari in cinque anni per espandere l’accesso alle risorse Microsoft Azure e AI, concentrando le risorse su progetti in quattro aree principali: le persone che hanno avuto un impatto nella storia, i luoghi e mo- numenti da preservare per le future generazioni, l’impegno per preservare i lin- guaggi delle comunità intorno al mondo, e i modi per collezionare e archiviare artefatti storici. Qualche esempio? In collaborazione con il lascito di Sol LeWitt ha sviluppato una app per esplorare il suo studio e scoprire informazioni sui suoi appunti e disegni sulle pareti, mentre con il governo di Nunavut, nel nord del Canada, ha creato una app per preservare le lingue Inuit e, con Il MAP, il nuovo museo di arte e fotografia di Bangalore, ha dato vita ad un software per incrociare opere d’arte tessili di tutto il mondo e creare dialoghi tra culture e popoli lontani. Certamente ci sono anche grandi sfide da affrontare, prima fra tutte una con- siderazione etica. Il patrimonio culturale, infatti, appartiene alla comunità e la decisione riguardo alla sua digitalizzazione deve essere presa nel rispetto dei va- lori della cultura locale. Inoltre, l’intelligenza artificiale può ripetere e perpetuare nel tempo errori storici, influenzando l’interpretazione e la rappresentazione del patrimonio culturale. La preservazione del patrimonio culturale è un impegno congiunto che richiede la collaborazione tra ricercatori, istituzioni, governi e svi- luppatori. La cooperazione internazionale, il libero accesso e il coinvolgimento delle giovani generazioni sono requisiti fondamentali.


Silvia Anna Barrilà è giornalista freelance e consulente. Dal 2008 si occupa di mercato dell’arte e collezionismo per Il Sole 24 Ore e di design per DAMN Magazine. Dal 2011 è docente al Master in Management dell’Arte e dei Beni Culturali della 24 Ore Business School. È co-fondatrice di Collective, un’associazione di collezionisti italiani e coautrice della BMW Art Guide by Independent Collectors. Collabora con aziende su progetti di comunicazione attraverso l’arte.