Don’t look up è un film parecchio noto e di conseguenza parecchio visto e apprezzato. Parecchio parecchio, intendiamo. Una metafora, un film il cui significato è molto semplice, inquietante, vero e per nulla celato: se non facciamo qualcosa moriremo tutti presto. E non serenamente, oltretutto.

Uno dice: così tanti hanno visto il film che ti aspetti che scatti un allarme globale e profondo sulle crisi che stiamo attraversando, partendo da quella climatica per arrivare a quella sociale. Una discussione seria, dei provvedimenti urgenti. Invece no. Tutto tace, i governanti si perdono in sterili discussioni con sterilissime conclusioni e i giovani si arrabbiano. Parecchio parecchio.

Allo stesso modo, durante il lockdown, i Massive Attack hanno pubblicato il video ep #//Eutopia. Ciascuna delle tre tracce che tutti dovrebbero andare a vedere, leggere e ascoltare insiste su una questione politica creando un dialogo sonoro e visivo su questioni globali e strutturali come l’emergenza climatica, i paradisi fiscali e il reddito di base universale. In particolare, uno dei video affronta appunto il tema delle crisi, quelle con cui quotidianamente abbiamo a che fare e di come dovremmo affrontarle. In questo pezzo Christiana Figueres, ex Segretario Esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, afferma che prima che la crisi del COVID-19 si abbattesse sul nostro mondo, i governi stavano già affrontando un accordo sulla crisi climatica, sulla crisi della disuguaglianza e sulla crisi del prezzo del petrolio. E infine, la quarta: la crisi sanitaria globale non solo ha colpito tutti noi, ma ha accelerato gli impatti delle crisi precedenti, intensificando il disordine economico e accentuando la sofferenza sociale. Dall’emergere di ciò ognuno può fare la propria parte
individualmente e collettivamente.

La crisi ambientale diventa economica e infine sociale e colpisce le fasce più deboli della società alimentando le disuguaglianze, l’innalzamento dei mari sta portando alcune popolazioni a richiedere asilo in qualità di rifugiati climatici. Tutto è connesso, ambiente, uguaglianza sociale, economia, salute pubblica. Lo siamo tutti noi e non solo per via di internet e una cultura che sia davvero Cultura non
può pensarla diversamente. Non può non pensarsi un soggetto politico con un impatto sociale.

Eppure. Eppure, ancora adesso a parlarne in giro si sentono resistenze, distinguo, freni. La disuguaglianza impatta fortemente sulle prospettive economiche, sociali, intellettuali e politiche e l’elemento decisivo per il progresso umano e lo sviluppo economico è quindi la lotta per un nuovo orizzonte partecipativo, basato sull’uguaglianza, la proprietà sociale, l’educazione e la condivisione del sapere e dei poteri.

Ecco perché parlare di disuguaglianza è importante e perché farlo in una lettera agli stakeholder lo è ancora di più. Perché l’innovazione, e di conseguenza la possibilità che le disparità possano in qualche modo essere previste, denunciate, corrette, passa dalla cultura ancor prima che dalla tecnologia. È il ruolo sociale dell’economia, della professione, così come quello dell’arte e della cultura senza il quale queste non hanno ragione d’essere. È l’idea di sostenibilità che deve avere al centro tutto questo e che senza non porta da nessuna parte.

L’avvento di una idea innovativa rende obsolete le idee precedenti; in altre parole, la crescita fondata sulla distruzione creatrice è il teatro di un conflitto perpetuo tra il vecchio e il nuovo. Questo non significa ricercare la distruzione del capitalismo ma di puntare e soluzioni politiche che sappiano indirizzarsi verso politiche fiscali redistributive, politiche economiche che favoriscano in maniera massiccia una innovazione verde, politiche sociali inclusive. E vuol dire che l’impegno di tutti noi è importante. Necessario. Insostituibile.