Non è un mestiere per dilettanti
di Davide Blei
Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°0, Aprile 2018
Sono membro del Board della Peggy Guggenheim Collection di Venezia e Presidente di AIMIG (Amici Italiani del Museo d’Israele di Gerusalemme).
In questa qualità ho avuto modo di frequentare mostre, fiere, aste e gallerie d’arte. Ho avuto modo di vedere, a confronto, vari sistemi giuridici internazionali che affrontano, ciascuno in modo diverso, l’approccio ai beni culturali, alla cultura in genere ed in particolare alle opere d’arte. Sono abituato a frequentare musei stranieri, dove l’apporto e l’opera di founding dei privati è fondamentale per la sopravvivenza dei museo, per il recupero e la conservazione di opere d’arte e, quindi, per la fruibilità del bene «cultura» da parte della collettività. Molto poco ho visto fatto in questo senso in Italia.
Sono tuttavia pure un collezionista, un collezionista italiano. Come tale mi sento sempre frastornato.
Mi rimbomba nelle orecchie una voce suadente: «il prezzo di questo quadro salirà?».
Mi domando: io sono un investitore, uno speculatore o un amante dell’arte e del bello?
La risposta, che mi esplode dentro mi tranquillizza: sono un amante dell’arte contemporanea e pertanto sono pronto ad esaminare le opere di domani, di dopodomani ed ancora più in là nel tempo.
Ad una fiera d’arte innanzitutto seleziono ciò che mi piace, mi entusiasma, mi dà il brivido, dietro la schiena o nello stomaco, e parto all’attacco, a volte come un cosacco oppure come un gentiluomo inglese, ma spesso giocando di punta/tacco come con l’auto durante una gara di rally.
Così, come mi succede spesso alle fiere, che popolano il calendario delle mostre di arte contemporanea in vari paesi sparsi nel mondo (Bologna, Milano, Torino, Madrid, Basilea, Parigi, Londra, New York, Hong Kong e Miami), solo per citare le più importanti, faccio prima una selezione delle opere che più mi piacciono e poi un’ulteriore indagine con me stesso. Penso a quali opere potrei rinunciare e poi mi lancio nell’acquisto di quelle irrinunciabili.
Non è tutto!
In generale quando acquisto devo comunque considerare il mercato, quell’intricato sistema di valutazione che copre tutto e tutti, come una nebbia lattiginosa piena di miraggi e verità. Dove finisce la moda e comincia l’arte? Preferisco il colore o il minimalismo? Mi attirano di più le opere a sfondo tragico e pessimista o quelle allegre e ottimiste? Cosa preferisco vedere quando mi sveglio la mattina?
Dopo queste considerazioni mi si pone la fatidica e sempiterna domanda: dove metto questo quadro? Ho un angolo per questa scultura?
Il collezionista è un affamato di pareti. Ricordo che un mio amico, di grande gusto, forse perché vicino al mio, aveva pareti alte sette metri, nella «parte giorno», così da potersi sbizzarrire a suo piacimento. Le opere d’arte contemporanea soffrono di gigantismo.
Gli ho sempre invidiato la location.
Tornando al «mercato» debbo fare alcune considerazioni che, pur non condizionando le scelte, le pilotano comunque.
Acquistare opere d’arte significa fare un’operazione finanziaria più o meno importante a seconda della cifra coinvolta e avulsa dalla mia condizione socio/economica. Spendere 10 mila, 50 mila o 100 mila Euro, e così via, moltiplicando poi questi numeri per tutti gli acquisti, significa spendere somme importanti. Leva e non rimetti, ogni monte scende!
Si apre quindi il capitolo delle vendite. Si, anche i collezionisti, anche quelli che non si considerano mercanti, speculatori o affaristi, debbono «privarsi», mano mano, di qualche opera che, essendosi rivalutata nel tempo, contribuisce a farlo rimanere al «tavolo» degli acquirenti, soprattutto in quei momenti che lo trovano un po’ «asciugato» di moneta. Capita a tutti, grandi e piccini. Non tutte le opere si rivalutano, anzi qualcheduna rimane al palo o arretra. Per contro se si acquistano «solo» le opere che piacciono le considerazioni economiche sono irrilevanti ed il godimento è assicurato.
Esaminiamo le gallerie e le case d’asta, due comparti differenti ma omogenei al mercato, soggetti con i quali il collezionista deve comunque fare i conti. Le gallerie, non i mercanti, svolgono un’attività fondamentale e preziosa per i collezionisti: scoprono gli artisti, ci credono, li promuovono e quindi li fanno conoscere al mercato ma soprattutto agli appassionati. Alcuni collezionisti, che hanno la mira del risparmio o l’ambizione del talent scout, cercano di sostituirsi, in parte ai galleristi. A ciascuno il suo mestiere, dico sempre ma spesso inascoltato. Con i galleristi ho avuto molte esperienze positive, invece. Dall’amicizia di bravi ed appassionati galleristi, che mi hanno fatto attento ad artisti, spigandone i motivi, conoscendo i miei gusti e condividendo la mia strategia, ho imparato molto ed in modo corretto e non distorto. Ci sono galleristi che apprezzo, nella loro etica e nei loro gusti, ed altri che, pur condividendone l’onestà intellettuale, differiscono per gusto ed approccio.
Si creano cosi una fitta rete di relazioni ed amicizie che superano il contatto mercantile e scivolano sovente nel privato, con scambi di idee proficui e fruttiferi, riportano nuove conoscenze, che allargano così il mio potenziale e solleticano la mia curiosità, permettendomi di imparare cose nuove.
Con le case d’asta vi è un rapporto naturale. Si può comprare e/o vendere, si possono avere valutazioni sia sul valore delle opere che sulla sfera degli scambi più o meno veloci, individuando quelle «opere calde» che in quel momento rappresentano gli orientamenti del mercato. Si possono monitorare gli scambi tramite le aggiudicazioni, verificare le strategie di collezionisti, mercanti e galleristi. Si paragonano quindi: opere difese ad altre ignorate, le differenze fra i prezzi in galleria e quelli spuntati all’asta, i percorsi, spesso contrastati, di artisti e movimenti ora in voga, ora in declino. Si confrontano i mercati su base italiana, internazionale od in aree del mondo lontane, ma presenti. Stante la globalizzazione, che anche nell’arte svolge un ruolo determinante e che non si può più ignorare, oggi non ci sono limiti ne argini ai confronti artistici e di mercato.
Qui in Italia, causa la cultura prevalentemente provinciale del paese, l’acquisto, la vendita, la valutazione sulle opportunità e la contenuta forza finanziaria delle nostre gallerie, hanno determinato e continuano a creare una visione parziale, sia del mercato che del suo potenziale. Le gallerie straniere poco partecipano ai nostri eventi mercantili, con un bassa e spesso assente partecipazione alle fiere italiane. Bisogna quindi caricarsi di costi, buona volontà e spesso disagi, per visitare fiere all’estero, esponendoci spesso a problemi di trasporti, costi di importazione, pagamenti e fiducia da parte di operatori ovviamente che meno ci conoscono. Sono comunque dei bei passatempi.
Il risultato è che molto spesso si collezionano solo artisti italiani o internazionali che vengono trattati nel nostro Paese, visto che altri nomi sono di difficile o impossibile accesso. Ne consegue che chi, con fatica, riesce ad acquistare opere non trattate in Italia, trova poi difficoltà a venderle su piazza, dovendo quindi ricorrere ad aste che si tengono all’estero, con conseguenti difficoltà fiscali, di incassi in valuta e gestione delle pratiche con le case d’asta.
Un altro problema (se non ci fossero problemi non ci si divertirebbe più) è quello di posizionare nelle proprie abitazioni le opere faticosamente acquistate. «The difference between men and boys is the cost of their toys» (la differenza tra i grandi ed i bambini sta nel prezzo dei loro «giocattoli»). Non solo bisogna individuare la parete o l’angolo libero, come ho già detto più sopra, ma avvicinando un’opera ad un’altra, queste si debbono parlare ed integrarsi con le altre inserite nel contesto che trovano. A mio giudizio questa è la parte più difficile ed il suo risultato è di per sè creativo. Il collezionista si obbliga così a trasformarsi in curatore della propria collezione, fornendole un valore intellettuale aggiunto.
L’inquinamento visivo che un collezionista deve subire è enorme e rappresenta una delle azioni più evidenti della sua buona volontà. Vedere opere belle, medie, scarse o inguardabili, spesso non è il massimo, ma tant’ è.
Il gusto si affina in parte guardando le opere, girando dappertutto e a fondo, durante le fiere, negli studi degli artisti, visitando i musei, le case dei collezionisti in Italia ed all’estero. Spesso una visita interessante e spettacolare, vale il viaggio. Lo dico da sempre. Si impara a scegliere ad accostare le opere a riconoscere la mano dell’artista nel suo stato di grazia. Nessuno, neanche il genio, si alza al mattino e realizza un capolavoro. Parafrasando Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi: «Il Gusto uno non se lo può dare, o ce l’ha o non ce l’ha».
Molto dipende dalle possibilità che un bambino può avere in giovanissima età e, comunque, molto si può fare con l’allenamento ed utilizzando gli elementi di paragone forniti dal proprio cervello, che costantemente ne analizza gli stimoli.
Quando andiamo a visitare un museo di arte contemporanea, sia in Italia che all’estero, abbiamo sempre l’opportunità di vedere la collezione permanente e quella temporanea. Orbene, salta all’occhio immediatamente che la temporanea, allestita da un curatore esterno al museo, presenta sempre un suo tema specifico che esalta le opere esposte, scelte con cura e oggetto di prestito da parte di istituzioni o collezioni private. Qui si misura la creatività del curatore, non solo nel sapere abbinare le opere, ma l’influenza dello stesso a riuscire ad ottenere le opere giuste, per raggiungere l’obbiettivo della mostra.
Questo è sempre stato uno dei miei obbiettivi primari, che hanno rappresentato la mia strategia per collezionare. Non mi sono mai reso conto, attraverso gli anni, di seguire scelte così precise ed abbinamenti, rivelatisi così azzeccati. Sono state le persone, che hanno visitato nel tempo la mia raccolta, a darmi la dimensione puntuale delle mie scelte e del mio gusto.
Quindi, per riassumere, scelgo possibilmente opere che mi piacciano, che siano compatibili con gli andamenti del mercato, che siano commerciabili in Italia ed all’ estero, che possa permettermi di comprare, senza destabilizzare le mie finanze, che rientrino nella mia strategia, al fine di farle rendere parte della collezione. Non mi permetto mai di rinchiudere le opere in anonime casse depositate in un magazzino, non trovando «sul momento» una sistemazione più consona.
L’attenzione e la conservazione delle opere debbono giocare un ruolo importante per un collezionista che, come me, ha raccolto mano mano un numero di pezzi superiore a 400. Oggi gli artisti non sono così pignoli come in passato, non hanno in mente l’eternità. Il trascorrere del tempo può rovinare e modificare la miscela dei colori, dei supporti e dei materiali impiegati. Oggi va di moda il caduco, il transeunte, il panta rei di Eraclito, tutti concetti che fanno a pugni con la conservazione. La consultazione di un buon conservatore è quindi d’obbligo per avere i parametri base da osservare, circa le opere possedute.
Anche la parte assicurativa rappresenta una preoccupazione. La sicurezza ed i parametri finanziari coinvolti sono da tenere presenti anche se oggi il gigantismo delle opere sconsigliano i furti, presentando difficoltà ambientali indubbie. Ci sono comunque ottime soluzioni che conviene esaminare con un broker di fiducia.
Un esame attento anche per le autentiche delle opere, rappresenta una parte fondamentale del bagaglio nella valigia del collezionista, che deve archiviarle con cura e raccogliere sempre ogni informazione relativa alla carriera dell’artista, gli articoli o i libri che lo riguardano. Quando si acquista si deve esaminare l’autentica con foto, firma dell’artista, misure, tecnica e quant’altro che deve essere consegnata dal privato, gallerista o casa d’asta all’atto della vendita del bene. Non si deve saldare mai l’opera senza questa documentazione in originale.
Confido che questa breve chiacchierata abbia creato le premesse per far luce sulle varie problematiche che competono a chi si lancia a collezionare arte contemporanea. In ogni caso, consiglio a chiunque possa prendersi un periodo per fare qualche giorno di vacanza, di andare a visitare l’Israel Museum a Gerusalemme. Si tratta di un museo visionario, unico al mondo: nato dalla donazione di grandi collezionisti che negli anni hanno acquistato, conservato, donato il frutto del proprio collezionismo. Visitandolo si apprende in poco tempo cosa significhi «collezionare». Cosa sia la passione per l’arte, per il bello e per la cultura che è e rimarrà sempre la storia non solo di una famiglia, di una persona ma anche e soprattutto di un popolo e di un periodo storico.
Davide Blei è collezionista, Presidente dell’AIMIG (Amici Italiani del Museo di Israele di Gerusalemme) e membro del Comitato Consultivo della Peggy Guggenheim Collection di Venezia.