Si fa presto a dire impatto
di Paola Dubini
La attenzione al modello di sviluppo sostenibile proposto dall’ONU e ai 17 obiettivi dell’agenda 2030 sta portando ad una crescente diffusione nel dibattito internazionale fra istituzioni, accademia e operatori di tre termini “pesanti”: sostenibilità, impatto e accountability.
Entrambi sono diffusi da tempo fra gli economisti: il primo ha a che fare con la capacità di durare nel tempo, da una parte remunerando adeguatamente tutti i fattori di produzione, dall’altro assorbendo e anzi anticipando i cambiamenti interni ed esterni; il secondo riguarda le ricadute dell’attività economica sull’economia degli interlocutori aziendali, siano essi dipendenti, fornitori o il territorio in cui l’organizzazione opera. Infine, il terzo termine, spesso utilizzato in inglese, evoca l’idea di “rendere conto”, essere responsabile nei confronti di terzi di dati comportamenti e dati risultati. I tre termini sono pesanti, perché sono centrali non solo nell’orientare la sopravvivenza e la crescita di una organizzazione, ma anche nei modi in cui queste si realizzano.
Non è scontato che una azienda duri nel tempo: cambiamenti tecnologici, normativi, o dei gusti dei clienti, nonché variazioni di più lungo periodo di natura sociale, economica e istituzionale modificano il contesto per gli operatori economici. Urgenze diverse di carattere sociale, politico ed economico modificano anche in modo significativo le aspettative di ritorno e di ricadute economiche; infine, maggiore è l’articolazione della governance di una organizzazione e maggiore la sensibilità dell’opinione pubblica, più il significato della rendicontazione assume una ricca varietà di sfumature. Da questo punto di vista, il modello concettuale alla base dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile alza non poco l’asticella, perché allarga l’ambito di responsabilità di ciascun operatore e il grado di interdipendenza fra attori, aumentando il numero degli ambiti in cui ciascun attore è valutato. Le condizioni di efficienza (uno dei fattori di sostenibilità economica) devono riguardare anche la minimizzazione dell’impatto ambientale da un lato e la valutazione dei rischi ambientali sul funzionamento dell’organizzazione; la remunerazione adeguata dei fattori di produzione include l’esplicitazione dei modi in cui i diritti umani sono rispettati e le pari opportunità garantite; il sistema di rendicontazione è destinato a incorporare sempre di più in modo esplicito indicatori non finanziari, che permettano di apprezzare – oltre alla redditività e la solidità finanziaria – la sostenibilità ambientale e le ricadute in ambito sociale. Nel caso delle imprese europee, la normativa va nella direzione di esplicitare una tassonomia di attività sostenibili che le imprese possono considerare in fase di rendicontazione per documentare i modi in cui mitigano e compensano il loro impatto sull’ambiente, e per poter dimostrare di agire in modo equo e sostenibile da un punto di vista sociale. L’attenzione sugli indicatori di sostenibilità legati a elementi non finanziari si lega alla duplice necessità di testimoniare i progressi ottenuti e di mitigare i rischi reputazionali connessi alle accuse di “washing” da parte di una opinione pubblica sempre più polarizzata e amplificata dai social media.
Sostenibilità delle organizzazioni culturali
Anche per le organizzazioni culturali, le condizioni di sostenibilità da rispettare, le aspettative di impatto e le dimensioni su cui “render conto” si fanno più articolate. La loro fragilità economica e patrimoniale è nota, mentre meno nota è la prudenza che caratterizza la loro gestione e la capacità delle organizzazioni più virtuose a costruire condizioni di durabilità economica; se è vero che – in virtù della loro forma giuridica – alcune organizzazioni culturali “non possono fallire”, è altrettanto vero che i gradi di libertà nelle scelte di allocazione delle risorse e le alternative a disposizione per raggiungere il pareggio economico sono molto limitati. A seconda degli ambiti di attività, riflettere sulla sensibilità ambientale apre tematiche rilevanti di conservazione (degli edifici, delle collezioni, delle tradizioni) o presuppone cambiamenti significativi nelle pratiche (si pensi ad esempio ai grandi eventi, spesso energivori e fortemente impattanti a causa della pressione sulla mobilità dei pubblici e degli operatori, sulla produzione di rifiuti, sulle infrastrutture dei territori ospitanti). Incorporare i temi di adattamento al cambio di clima e di mitigazione degli effetti ambientali può assumere per le organizzazioni culturali una valenza identitaria: il territorio delle Langhe Roero e Monferrato è patrimonio UNESCO per tutelare un paesaggio, una varietà di borghi e costruzioni, ma anche specifiche pratiche nel trattamento dei vigneti, nella produzione e nella conservazione di vini specifici. Il cambiamento climatico potrebbe mettere in discussione diversi elementi di questo patrimonio. Ancora, siamo abituati a mega concerti notturni: dobbiamo immaginare che istanze di risparmio energetico richiedano di avere live show durante il giorno? E - in un paese che ha la tutela del patrimonio culturale come responsabilità costituzionale - a quali condizioni è ragionevole immaginare di collocare impianti fotovoltaici sul tetto di edifici storici o pale eoliche sulla cima delle montagne?
Per quanto riguarda l’impatto sociale, non è difficile riconoscere che le organizzazioni culturali svolgano una funzione sociale, perché attraverso attività di natura culturale contribuiscono alla costruzione di cittadinanza, svolgono una funzione educativa e di inclusione. Tuttavia, salvo poche eccezioni, le organizzazioni culturali faticano a proporre argomenti convincenti sull’efficacia e sulle ricadute delle loro azioni; il ruolo trasformativo della cultura è riconosciuto da chi la pratica con continuità, mentre il resto della collettività ignora o dà per scontata la loro funzione culturale o la misura in termini di notorietà; la comunità dei pari riconosce il ruolo culturale, ma la collettività in genere si preoccupa dell’impatto generato utilizzando categorie diverse.
Infine, per quel che riguarda la necessità di render conto, la diffusione di progetti di imprenditorialità sociale ha contribuito alla crescita di aspettative di ritorno di natura sociale da investimenti di natura filantropica1 che replicano logiche di allocazione di risorse mutuate dal mondo delle imprese. Questo ha spinto alcune organizzazioni – in particolare a carattere sociale - a rendere conto dell’impatto sociale generato. In presenza di risorse pubbliche calanti, la sostenibilità economica delle organizzazioni culturali si fonda sempre più sulla diversificazione delle fonti di ricavo e su meccanismi di governo che prevedano un coinvolgimento di interlocutori di natura diversa (Stato, enti locali, imprese, donor individuali); questo rende necessario aggiungere agli strumenti rendicontativi tipici – che riguardano come sono state spese risorse pubbliche o provenienti da fonti istituzionali – altri documenti in grado di evidenziare la qualità del lavoro svolto e i benefici generati alla collettività nel suo insieme dall’attività culturale.
Raccontare e misurare l’impatto
Il tema dell’impatto generato dalle organizzazioni culturali si lega quindi inevitabilmente a tematiche di governo economico e di accountability. Impatto è un termine “ingombrante” perché presuppone un contatto forzato e un significativo effetto, immediato o nel tempo, su un destinatario.
Per loro natura, le organizzazioni culturali generano impatto nel tempo, attraverso una continuità di azione: la loro dimensione non rende possibile in genere una intensità immediata di reazione. È l’effetto continuativo della palestra, non quello dirompente di un uppercut che produce un risultato. Anche quando la reazione attesa è intensa e immediata – come nel caso delle manifestazioni inscenate nelle più importanti istituzioni culturali internazionali da parte degli attivisti di P.A.I.N. contro la famiglia Sackler, produttrice di un potente oppiaceo, o nelle manifestazioni degli attivisti ambientali esasperati dalla mancanza di iniziativa e senso di urgenza da parte della collettività – le organizzazioni culturali sono spesso mezzo e non parte attiva nel generare impatto, se non in un arco di tempo di medio periodo: responsabilizzati a contribuire alla dannatio memoriae della famiglia Sackler i grandi musei hanno effettivamente rifiutato ulteriori donazioni e rimosso dalle loro sale e dalla loro comunicazione il nome di un donor molto importante. Mostre importanti di denuncia che hanno fatto parlare di sé spesso sono state contestualizzate, spiegate, raccontate in uno sforzo complessivo di mediazione finalizzato a raggiungere ampie fette di opinione pubblica.
Inoltre, come l’istruzione, la cultura è un bene di merito: non è detto che le per sone ne percepiscano il bisogno; è anche un bene esperienziale, il cui valore e importanza non sono valutabili a priori; e infine è un credence good: anche dopo essere stato provato, è difficile valutarne la qualità. E quindi accade che chi più trarrebbe beneficio dell’azione coinvolgente, trasformativa o inclusiva delle arti non ne sente il bisogno o ne ignora l’esistenza e le potenzialità. E anche quando è stato coinvolto, la consapevolezza dell’impatto avviene spesso a distanza di tempo. Per comprendere in modo sistematico come le organizzazioni culturali rappresentano l’impatto generato, abbiamo analizzato quanti enti iscritti a specifiche associazioni, appartenenti a specifiche categorie o mappati da diversi aggregatori pubblicano un bilancio sociale o di sostenibilità (Tabella 1). A partire da questa base, abbiamo raccolto attraverso ricerche online per parole chiave ulteriori 13 casi, per un totale di 47 organizzazioni e 139 osservazioni relativi agli anni 2018-2021.
TABELLA 1: le organizzazioni culturali che pubblicano un bilancio sociale o di sostenibilità
Come si può notare, in assenza di obblighi di legge e in presenza di sistemi rendicontativi complessi, sono pochissime ancora le organizzazioni culturali che pubblicano un bilancio sociale o di sostenibilità. È tuttavia interessante notare come l’esercizio sia realizzato proporzionalmente più frequentemente da enti di piccolissime dimensioni, il che fa pensare che il bilancio di sostenibilità sia uno strumento di comunicazione e di legittimazione presso potenziali donors.
Tabella 2: distribuzione del campione per volume di attività
Nel racconto della propria missione, le organizzazioni analizzate enfatizzano la conservazione e la valorizzazione culturale, la promozione degli artisti e il diritto alla cultura come strumenti di cittadinanza che si realizza attraverso attività educative, di inclusione, di rigenerazione urbana finalizzate allo sviluppo territoriale a base culturale. È evidente il riferimento agli obiettivi 4, 10, 11 e 16 dell’agenda 2030, anche se solo 13 organizzazioni del campione fanno esplicito riferimento agli obiettivi di sviluppo sostenibile nel loro bilancio, in particolare l’obiettivo 8 (10 casi) e l’obiettivo 11 (9 casi).
La tabella 3 sintetizza le aree di impatto esplicitate nei bilanci considerati. I dati sono espressi in percentuale, per tenere conto del fatto che diverse organizzazioni hanno citato più di una area; ad evidenza, la composizione del campione condiziona il peso relativo delle diverse aree di impatto.
L’area di impatto più citata riguarda il rapporto con i pubblici: questo si traduce in primis in forme di community engagement con pubblici specifici (le scuole, le famiglie, ...), seguito dalla costruzione di occasioni di apprendimento non formale attraverso i linguaggi delle arti e dalla digitalizzazione delle collezioni, nonché dallo sviluppo di nuovi pubblici.
La seconda area di impatto più citata riguarda l’attivazione di competenze: le organizzazioni del campione creano impatto poiché offrono possibilità strutturate di confronto fra pari per chi appartiene a comunità artistiche, perché permettono un trasferimento di competenze specialistiche, perché si attivano per creare opportunità di lavoro per i professionisti nelle arti, perché fanno scouting o consacrano talenti creativi, proponendoli a pubblici non specialisti.
La terza direzione di impatto ha a che fare con la valorizzazione dei beni gestiti: dalla crescita del patrimonio alla valorizzazione delle strutture. Talvolta le organizzazioni culturali operano in spazi che si prestano a fruizioni pubbliche diverse; la messa a disposizione di locali e spazi verdi è una direzione possibile di valorizzazione e di stimolo alla costruzione di un senso di appartenenza.
Un’ulteriore area di impatto è legata alla ricerca: i musei che appartengono al campione si riconoscono come enti di ricerca con una particolare funzione divulgativa. La produzione di mostre, materiali da un lato, l’ospitalità di incontri per addetti ai lavori, di laboratori e di occasioni di mettere in relazione saperi specialistici diversi a beneficio di pubblici ampi sono modi attraverso i quali contribuire alla produzione di nuova conoscenza e stimolare curiosità.
L’area successiva di impatto si lega all’inclusione e all’innovazione sociale: il mix dei servizi offerti, la disponibilità di spazi sicuri, la possibilità data alle persone di soddisfare le proprie curiosità e i propri interessi in autonomia o attraverso una offerta guidata sono talvolta orientate verso gruppi di persone che non hanno familiarità con i luoghi della cultura e che sono esclusi o si autoescludono.
L’impatto sul territorio si lega alla capacità di attrarre visitatori, alla attivazione di reti internazionali e alle collaborazioni poste in essere con operatori locali. Infine, in alcuni casi la gestione e l’attività culturale sono orientate alla sostenibilità ambientale e all’advocacy su tematiche di sostenibilità ambientale.
Tabella 3: le aree di impatto esplicitate
Gli indicatori quantitativi degli impatti generati si riferiscono nella totalità dei casi al numero delle persone coinvolte per diverse categorie di pubblico (numero totale, mix, efficacia della comunicazione online, etc.), ai volumi di attività realizzati (giornate di laboratorio, numero di mostre, articoli pubblicati, progetti di collaborazione attivati, giorni e orari di apertura, conferenze…) e alle risorse utilizzate o mobilizzate (risorse allocate, investite, raccolte). Inoltre, a seconda della strategia messa in atto, gli indicatori quantitativi segnalati riguardano le caratteristiche dei processi (collezioni digitalizzate, campagne di restauro, campagne di comunicazione specifiche), i pubblici, il grado di fidelizzazione e di partecipazione culturale attivata, il contributo economico generato per il territorio. Inoltre, i bilanci presentano in genere risultati qualitativi che risultano da specifiche survey o attività di osservazione, in particolare dei nuovi pubblici avvicinati. Gli orizzonti temporali di riferimento considerati sono sia l’anno, sia intervalli di tempo più lunghi. I progressi raggiunti spesso si focalizzano su temi specifici (ad esempio crescita nel numero di adolescenti raggiunti, evoluzione del mix di ricavi, variazione nel tasso di fidelizzazione dei pubblici). Gli indicatori includono parametri di efficienza per testimoniare un accorto utilizzo delle risorse pubbliche (evoluzione dei tempi medi di montaggio e smontaggio mostre, % di materiali riciclati utilizzati nell’allestimento di mostre). Circa un terzo delle organizzazioni censite menziona le collaborazioni professionali attivate e il mix di contratti in essere. L’attenzione alle comunità territoriali ha due facce: da una parte la numerosità e la durata dei rapporti di fornitura a livello locale e dall’altro la numerosità di iniziative gratuite offerte, quali ad esempio opportunità formative offerte per i volontari, i professionisti nei settori culturali, i giovani artisti.
Se analizziamo insieme le caratteristiche dimensionali delle organizzazioni e le direzioni di lavoro per realizzare impatto culturale e sociale, appare evidente un tema di massa critica. Uno degli aspetti rilevanti e specifici della rendicontazione di sostenibilità da parte delle organizzazioni culturali è data dalla esplicitazione della profondità, della varietà, della qualità e della durata delle reti di stakeholder di cui le organizzazioni culturali sono parte, che contribuiscono a creare e rispetto ai quali si sentono di rendere conto. La tabella 4 sintetizza le categorie di stakeholder citate.
Tabella 4: il sistema degli stakeholder rilevanti
Tutte le organizzazioni considerate evidenziano diverse categorie di stakeholder come i loro interlocutori principali. I donor sono la categoria più frequentemente citata (e comprende le istituzioni, gli sponsor e I mecenati), con una particolare attenzione alle istituzioni (nazionali e locali). La business community comprende i fornitori, i media, gli operatori economici sul territorio, inclusi gli operatori turistici. La società civile è declinata in tre categorie specifiche: le scuole, i residenti, le associazioni territoriali. Alcune organizzazioni culturali identificano gli stakeholder interni come i loro principali interlocutori: non solo i collaboratori, ma anche i membri del board. Infine, la possibilità di creare impatto si lega alla articolazione e alla qualità delle collaborazioni poste in atto fra pari, a livello nazionale e internazionale: gli stakeholder più citati in questa categoria sono le università, le altre istituzioni culturali, le attrazioni naturali.
Considerazioni conclusive
La diffusione di bilanci di sostenibilità e bilanci sociali fra le organizzazioni culturali è ancora molto limitata, ed è noto che gli strumenti di rendicontazione offrono una visione parziale della strategia delle organizzazioni; tuttavia, l’assenza di obblighi alla pubblicazione di bilanci sociali e di sostenibilità e la relativa libertà narrativa al riguardo permettono di testimoniare lo sforzo di trasparenza di organizzazioni che spesso diamo per scontate e che difficilmente riconosciamo nella loro funzione culturale e sociale. L’analisi ha permesso di mettere in luce i diversi ruoli giocati dalle organizzazioni culturali, la relazione fra impatto culturale e impatto sociale, le aree di impatto individuate e la loro operazionalizzazione. Inoltre, l’esplicitazione del sistema degli stakeholder rispetto ai quali l’organizzazione sente di dover rendere conto è un passaggio rilevante per organizzazioni per loro natura pervasive e date per scontate.
Indubbiamente resta molto da fare per trovare indicatori puntuali che aiutino le organizzazioni a rendersi conto (e poi rendere conto) del segno che lasciano. Però, la ricerca mostra che il lavoro di identificazione dei destinatari e delle dimensioni di impatto ricercate presuppone una logica di rendicontazione e un governo delle organizzazioni in grado di abbracciare la ampiezza delle sfide.
Paola Dubini è professoressa di management all’Università Bocconi di Milano, ricercatrice del centro ASK della medesima università, visiting professor all’IMT di Lucca. Da circa 20 anni, i suoi interessi di ricerca e professionali sono rivolti alle condizioni di sostenibilità delle organizzazioni culturali, private, pubbliche e no profit e alle politiche territoriali per la cultura in una prospettiva di sviluppo sostenibile. Conta partecipazioni a CdA e Comitati Tecnico Scientifici di diverse organizzazioni attive nei settori culturali e creativi ed è autrice di numerose pubblicazioni. Fra le più recenti: Dubini et al, “Institutionalising fragility”, Fondazione Feltrinelli (2016); Dubini et al, “Management delle organizzazioni culturali”, Egea (2017); Dubini, “Con la cultura non si mangia.falso!”, Laterza (2018).