Sono scomparsi gli uccelli
di Paolo Fresu
«Sono scomparsi gli uccelli» diceva mio padre Lillino osservando la campagna con aria preoccupata.
Era da qualche anno che i fringuelli e i cardellini non si vedevano più e ciò, a detta di mio babbo, pastore e agricoltore, non andava bene.
I perfuralzos, i passerotti, sono scomparsi e neanche le rondini tornano. Solo i fenicotteri rosa continuano fortunatamente a soggiornare negli stagni cagliaritani di Molentargius, oltre che a Montpellier e Tunisi.
Chissà dove sono finite le piccole specie. Quelle stanziali, forse sterminate dai pesticidi, e quelle migratorie, la cui bussola interiore è alterata dagli sconvolgimenti climatici.
Rispetto al passato sono poche anche le fragorose cornacchie alle quali da bambini si dava la caccia ai nidi durante le feste campestri di maggio e vedere un’upupa è un evento rarissimo.
Solo le gazze oggi imperversano fuori dalla nostra casa immersa nel verde di Montecalvo. Rumorose e fastidiose hanno preso il totale possesso del luogo ed eliminato qualsiasi altro volatile. Anche questo segno dei tempi moderni e parabola dell’arroganza contemporanea.
Una volta la natura aveva le sue leggi e le sue regole quando oggi queste sono dettate dall’uomo che ne stravolge i sottili rapporti.
Per il nostro giardino collinare abbiamo comprato due nidi a forma di casette.
Sono carini e apparentemente, secondo il nostro punto di vista, accoglienti. Dipinti di verde e di azzurro hanno un non so che di casa che invita all’abitarli.
Li abbiamo messi sul ramo principale di due alberi non troppo alti al riparo apparente da pericolosi predatori e dalle intemperie.
Ovviamente nessun passerotto li ha scelti per depositarvi le uova e preferiscono nidificare, ogni inizio di primavera, tra la finestra dello studio dove compongo con il pianoforte e lo scuro che guarda a sud verso l’Appennino, perché le gazze non perdonano ed è l’unico posto dove non possono arrivare.
A dimostrare che il tempo è sempre uguale, nonostante tutto. Per questo bisogna preoccuparsi quando ciò non accade e gli appuntamenti vengono mancati.
“Quest’anno la partenza delle rondini mi stringerà, per un pensiero, il cuore”.
Mai e poi mai Umberto Saba avrebbe scritto questi versi se non ci fosse da sempre
il ciclico ritorno delle rondini. A dimostrare quanto l’universo che si muove intorno alla Terra rappresenti quella certezza capace di dare un senso alle cose e regalarci così speranza.
Ma succede anche che le rondini ritornano.
Per ricordarci che tutto viene dalla terra e che questa nasconde una poesia sottile da leggere nel ritorno di ogni stagione.
Prime rondini che portano con esse il seme che raccolgono altrove e che diventa seme fiore e frutto.
È uno dei motivi per cui dobbiamo prenderci cura del nostro pianeta prima che sia troppo tardi e prima che i volatili non ritornino più e non sappiano dove trovare un approdo sicuro.
Quando mio padre disse quella frase eravamo in procinto di montare a Berchidda, il piccolo paese dove sono nato e dove da 35 anni organizzo un festival internazionale di jazz, un progetto sulla musica di Fabrizio De André e Lucio Dalla assieme al cantante Gaetano Curreri.
In omaggio ai due artisti lo chiamammo “Le rondini e la Nina”, prendendo in prestito alcune parole dalle rispettive canzoni, e così le rondini tornarono ad essere protagoniste per una riflessione poetica sullo stato della terra.
Ciò in seno a Time in Jazz, una manifestazione di spettacolo che si preoccupa di produrre energia pulita per alimentare i concerti immersi nella natura i quali si svolgono in luoghi incontaminati ed emozionanti.
Sono i boschi a diventare palcoscenici naturali e le basiliche romanico-pisane ad essere inusuali teatri da abitare con la musica.
E sono i suoni ad indurre una riflessione sul rispetto dei territori e sulla qualità dell’aria portandoci negli anni a concepire un “Carro delle energie” che ruba il calore del sole immagazzinando elettricità utile ad alimentare gli impianti di amplificazione.
Inoltre, l’utilizzo delle luci al neon che non impattano sull’ambiente, l’incentivo per le buone pratiche sul riciclo e la compostazione, il corretto utilizzo consumo dell’acqua e la mobilità intelligente e sostenibile.
Ma può un festival di musica contribuire al rispetto ambientale?
Sono sempre più convinto che l’arte delle note sia non solo necessaria ma utile a indurre una riflessione collettiva sui temi che ci stanno a cuore.
Perché un concerto davanti a una chiesetta di campagna, con il suono dei campanacci delle greggi che si confondono con trombe e sassofoni, ci fa sentire migliori e ci mette in relazione con gli spazi che viviamo e con gli altri attraverso un respiro e un afflato che sono atavici e contemporanei nel medesimo tempo.
Questo è il significato della musica e dell’arte: tracciare una linea retta che metta in relazione la terra con il cielo.
Purché questo sia terso e lasci intravvedere gli astri oltre che il volo delle rondini.
Paolo Fresu è un jazzista di fama internazionale. Ha suonato in tutto il mondo, insieme ai nomi più importanti della musica afroamericana degli ultimi 35 anni. Ha ricevuto numerosi premi e nel 2010 ha fondato l’etichetta discografica Tŭk Music. Dirige il Festival ‘Time in jazz’ di Berchidda ed è stato per un quarto di secolo direttore artistico e docente dei Seminari jazz di Nuoro. Vive tra Parigi, Bologna e la Sardegna, sua terra natale.