Sul regime del margine nella circolazione delle opere d'arte: l'onere probatorio a carico del collezionista
di Rosaria Giordano
Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°2, Ottobre 2018
Le difficoltà nell’applicazione del regime del cd. margine si compendiano, anche in sede applicativa, nel necessario contemperamento tra le esigenze, per certi versi speculari, di evitare una doppia imposizione ed un’evasione di imposta.
Le modalità mediante le quali, in concreto, si perviene al contemperamento delle finalità sottese alla disciplina sono quelle che attengono alla portata dell’onere probatorio posto a carico del cessionario rispetto ai controlli compiuti sull’assoluzione dell’IVA a monte da parte del proprio cedente.
Per lo più la giurisprudenza, sia unionale che nazionale, si è occupata dell’esame di casi che riguardano la ricorrente cessione di veicoli usati, tranne qualche raro precedente nel quale la S.C. ha fornito precisazioni anche con riferimento alla specifica questione della cessione delle opere d’arte.
Nondimeno, i principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 21105 del 2017, pur relativa alla vendita di veicoli usati, hanno una vocazione espansiva al settore qui in esame, come si evince chiaramente dalle premesse argomentative di tale decisione nella quale si fa riferimento unitario alla normativa relativa al margine IVA.
A riguardo, non appare superfluo ricordare che l’art. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41 (conv. dalla legge 22 marzo 1995, n. 85), nel testo modificato dalla l. 29 novembre 1995, n. 507, ha dato attuazione all’art. 26 bis della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 (articolo aggiunto dalla direttiva 94/5/CE del Consiglio del 14 febbraio 1994), che ha introdotto, nel sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, un regime particolare applicabile alle cessioni di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, comunemente definito regime del margine di utile.
L’intento di evitare che si determinino evasioni di imposta ha indotto la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea ad affermare che il regime d’imposizione del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione costituisce un regime speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla direttiva 2006/112 e rispetto a questo meno oneroso (contemplando una base imponibile ridotta): ciò comporta, peraltro, che la disciplina concernente il suo ambito applicativo debba essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’istituto (v., tra le altre, Corte di giustizia 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans; 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi; 19 luglio 2012, causa C-160/11, Bawaria Motors; 18 maggio 2017, C-624/15, Litdana).
In sostanza, l’applicabilità del regime del cd. margine deve essere limitata ai soli casi in cui il bene sia stato acquistato da un soggetto che non ha potuto detrarre l’imposta pagata a monte all’atto dell’acquisto del bene e che, dunque, ha sopportato interamente il carico impositivo, mentre si debba applicare il regime ordinario dell’IVA nel caso in cui il diritto alla detrazione sia stato esercitato, atteso che, in questa seconda ipotesi, non vi sarebbe nessuna doppia imposizione. Questi assunti sono stati più volte ribaditi nella giurisprudenza della Corte di legittimità che sembra, peraltro, anche nell’intervento operato a Sezioni Unite, avere assunto un approccio più rigoroso quanto agli oneri posti a carico del cessionario. Invero, nella pronuncia resa da ultimo in relazione al caso Litdana, la Corte del Lussemburgo ha enunciato il fondamentale principio per il quale l’art. 314 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/ UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, dev’essere interpretato nel senso che osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino a un soggetto passivo, che abbia ricevuto una fattura sulla quale vi sia menzione tanto del regime del margine quanto dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA), il diritto di applicare il regime del margine, anche qualora da una successiva verifica effettuata da dette autorità emerga che il soggetto passivo-rivenditore, fornitore dei beni d’occasione, non aveva effettivamente applicato detto regime alla cessione dei beni di cui trattasi, a meno che le autorità competenti non dimostrino che il soggetto passivo non ha agito in buona fede o che non ha adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria.
Le Sezioni Unite, pur richiamando, nel proprio percorso argomentativo, siffatta decisione, finiscono per limitarne la portata in relazione alle peculiarità del caso concreto che aveva dato luogo alla pronuncia della stessa, al fine di confermare, in sostanza, la propria rigorosa giurisprudenza tradizionale circa gli oneri probatori posti a carico del cessionario che voglia beneficiare del regime, più favorevole e derogatorio rispetto a quello ordinario, del cd. margine.
In particolare, si è ribadito che il cessionario, al quale l’amministrazione finanziaria contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, l’indebita fruizione del regime derogatorio del cd. margine utile, deve provare la propria buona fede, ossia di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto.
Tuttavia, come già nei precedenti di legittimità che avevano riguardato nello specifico la circolazione delle opere d’arte, nelle fattispecie esaminate veniva in rilievo la situazione di cedenti che svolgevano a propria volta l’attività professionale di rivendita di beni e per i quali doveva presumersi, pertanto, che avessero beneficiato, come sottolineato dalle Sezioni Unite, della detrazione dell’IVA.
In questa ottica deve essere collocata la rigorosa affermazione, in termini di riparto degli oneri probatori tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria, laddove si afferma, rispetto al caso specifico concernente la cessione di veicoli usati, che l’acquirente che voglia beneficiare del regime del margine è tenuto ad individuare “nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione in suo possesso, eventualmente integrati da elementi di agevole e rapida reperibilità, dei precedenti intestatari del veicolo, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia stata, o no, già assolta a monte da altri, nell’ambito della catena di fornitura, senza possibilità di detrazione: in caso di esito positivo, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche qualora l’amministrazione dimostri, attraverso indagini e controlli inesigibili dal contribuente, che in realtà l’imposta, per qualsiasi motivo, non era stata detratta”.
Differenti sembrano dover essere le considerazioni da effettuarsi nell’ipotesi nelle quali la cessione avvenga, rispetto alle opere d’arte, tra collezionisti privati.
Non appare peregrino ritenere, infatti, che in questa situazione non possa pretendersi l’applicazione dei rigorosi principi che operano laddove la cessione sia posta in essere da soggetti che svolgono quale propria attività di impresa la rivendita di opere d’arte.
In definitiva, se l’operazione di cessione avviene tra privati deve ritenersi che il cessionario, per beneficiare del regime derogatorio del margine, nell’ipotesi di contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, debba essere limitato alla dimostrazione di aver controllato la “regolarità della posizione” del solo diretto cedente, dovendo presumersi che, essendo egli stesso un “consumatore finale” sia stato inciso dall’IVA.
Ciò implica che, nel non infrequente caso di plurime e successive cessioni tra privati della medesima opera d’arte, ciascun cessionario possa beneficiare del regime del cd. margine, realizzandosi, in difetto, quella doppia (rectius, plurima) imposizione che la normativa europea vuole evitare.
Rosaria Giordano è magistrato addetto all’Ufficio del massimario e del ruolo della corte di Cassazione.