di Maria Vittoria Princigalli e Matilde Monti

“I margini si realizzano una volta che vengono attraversati”[1]

 

Un pomeriggio di maggio mi ritrovo ad aver sbagliato la direzione del tram, ma non avendo altri impegni per quella giornata, decido di non scendere per scoprire una nuova parte di Milano. Il tram è il numero 14 e mi sta portando verso il quartiere Giambellino. Avevo sentito molto di questo quartiere dai giornali, ma non avevo mai avuto l’occasione, e il motivo, di frequentarlo.

A poco a poco, mentre mi lascio trasportare percepisco un cambio di ritmo. Ad ogni fermata sale un pendolare in più, che si dirige verso la propria dimora, lasciandosi il lavoro alle spalle, e questo si riflette sia nell’edificato che nel tram in cammino nella direzione opposta che è vuoto. Il paesaggio che mi circonda è ora principalmente residenziale, quasi monofunzionale; riesco a vedere solo pochi bar o negozi e le persone che camminano per la strada appartengono a mille culture differenti. Ecco che leggo su un muro: “Difendi il tuo quartiere”. Proprio in quel momento noto un cantiere di grandi dimensioni. L’ennesimo cantiere che disturba il via vai degli abitanti e le cui recinzioni mi nascondono la vista delle persone che passeggiano. Mi rimetto allora a guardare i palazzi.

Gli edifici occupati della prima metà del Novecento con le finestre di mattoni hanno ormai lasciato spazio a moderni imponenti edifici, sedi di grandi aziende, che a quest’ora però sembrano soli, non hanno nessuno che ci cammina intorno, sono già tutti tornati a casa. Il tram si ferma per l’ultima volta, siamo al capolinea, e con una consapevolezza differente delle mille facce che questa città possiede, mi preparo per ripercorrere il percorso al contrario.

Il modello centro-periferia

Quello del centro-periferia è un modello che esiste da tempo negli studi urbani. Il centro e il margine costituiscono un binomio fondamentale per la comprensione delle dinamiche urbane, sosteneva Henri Lefebvre negli anni ‘70[2].

La logica binaria del modello centro-periferia è stata però più volte messa in crisi nella storia.  La rappresentazione statica e unitaria delle due forze, che deriva dall’applicazione di questa logica, si basa sull’ipotesi che tutto ciò che è contrario al centro è allora marginale e periferico.

​​Oggi, la periferia è sempre più sinonimo di pluralità; è un luogo dove pratiche e attori diversi disegnano spazi eterogenei. Questo parziale superamento del binomio si riflette anche nel linguaggio, per cui oggi si parla di “periferie” al plurale e talvolta di sfumature di perifericità[3], proprio per indicare le innumerevoli facce che il fenomeno assume. 

Il dibattito sul tema sembra quindi mettere in dubbio confini spesso dati per certi; al loro posto si fanno spazio margini mobili e instabili, incapaci di disegnare una linea netta tra il centro e quello che ne rimane fuori.

La pluralità nella manifestazione del fenomeno fa riferimento alla presenza di diversi tipi di ambiti a cui il termine ombrello “periferia” è associato. Le periferie possono essere regionali, rurali e urbane. Anche all’interno della stessa categoria, motivi di natura storica e culturale portano le periferie a differenziarsi molto tra loro.

In ambito urbano la dinamica centro-periferia può essere affiancata alla dialettica urbana-rurale. In questo caso i quartieri diventano territori di duplice confine, luoghi di frontiera tra la città compatta centrale e la campagna. Questa situazione è tipica dell’area meridionale di Milano, dove la città si fonde con il Parco Agricolo Sud. Più tipicamente però, nel contesto della città metropolitana di Milano, il termine periferia riflette l’adozione di uno sguardo da dentro che fa riferimento al modello centro-periferia inteso nella sua accezione tradizionale, che talvolta prova a definire la marginalità come mancanza o assenza di caratteri tipici del centro.

La descrizione dello spazio fisico non può̀ prescindere

dall’ascolto dello spazio sociale

La diversificazione degli ambiti periferici e la variabilità dei loro confini modificano il modo in cui comprendiamo e affrontiamo il fenomeno, rendendo sempre più difficile definire cosa sia periferico o marginale.

La marginalità urbana è stata storicamente studiata e concepita in termini di spazio e territorio[4]. La semplificazione di questo approccio porta a stabilire gli ambiti di perifericità tramite una misurazione della distanza fisica di un quartiere dal suo centro, trattando così la marginalità come una forma di disconnessione fisica.

Oltre alle caratteristiche geografiche e fisiche, che spesso descrivono un paesaggio urbano degradato e disconnesso, è necessario considerare anche i fenomeni di natura sociale.  Questo approccio, a Milano, permette di identificare come periferie quartieri come Giambellino-Lorenteggio, che, pur essendo vicini al centro e dotati di buona accessibilità, sono considerati multiproblematici.

Approcciarsi alla marginalità urbana come forma di disconnessione fisica e sociale dal resto della città vuol dire considerare questioni come l’accessibilità al trasporto pubblico, alle infrastrutture e ai servizi di welfare, nonché le persone e gli spazi che abitano.

Da questa analisi emerge tipicamente la concentrazione di dinamiche di invecchiamento, dispersione scolastica e giovani fuori dal mercato del lavoro, tutte condizioni socioeconomiche marginali che sono descrittive di molte periferie pubbliche urbane. L’accostamento del termine “pubblica” a quello di “periferia urbana” descrive quartieri dove l’alta percentuale di edilizia residenziale pubblica può o meno essere manifestazione della marginalità sociale. Nel contesto milanese, le periferie, sviluppatesi storicamente in aree urbane non consolidate, hanno permesso lo sviluppo di quella parte di città che viene chiamata la “città pubblica”.

L’adozione di uno sguardo critico, capace di considerare diverse questioni e dimensioni della marginalità urbana, è ostacolata dalla possibilità di utilizzare piani di lettura frettolosi e superficiali, dove i pre-giudizi rischiano di ridurre la complessità di questi luoghi e opacizzare la loro potenzialità. Nell’applicazione di uno sguardo paziente e partecipante, delle reti di relazioni e delle pratiche della vita quotidiana, è essenziale considerare i rischi associati all'adozione di uno sguardo “dal basso”. Questo metodo può infatti tradursi in una messa sotto indagine dei residenti dei quartieri considerati periferici

 

Progettare nei margini

Da questa riflessione vogliamo riportare una panoramica su alcuni atteggiamenti progettuali con cui affrontare il tema della marginalità urbana. Gli approcci si distinguono per grado di scostamento dal modello centro-periferia: ad alcuni più tradizionali si affiancano altri più radicali.

Il primo di questi si basa sulla costruzione di un dialogo tra il margine urbano e il centro al fine di riconoscere le potenzialità delle periferie. L’azione progettuale avviene a partire da pratiche, luoghi e attori che abitano i quartieri, così da cogliere e sfruttare le risorse, le sperimentazioni in corso, le capacità e le aspirazioni già presenti[5].

Seguendo quest’onda si fanno strada i progetti fondati sul metodo della ricerca-azione[6] che studia le interazioni tra lo spazio fisico e le persone che lo vivono, le quali diventano protagoniste delle trasformazioni. Un esempio significativo tra i quartieri pubblici milanesi è il progetto Mapping San Siro[7] promosso dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico. In questa realtà ancora sperimentale coabitano la didattica, la ricerca e l’azione sul campo, l'ascolto e il dialogo tra istituzioni, soggetti locali[8] e residenti; o almeno quella fetta di residenti già predisposta a partecipare alla "trasformazione del quartiere dal basso”.  Se da un lato si cerca di sviluppare interventi vicini ai bisogni dei quartieri, dall’altro, per evitare risultati parziali ed escludenti, resta da chiedersi: quale tra le diverse e numerose comunità ha partecipato al progetto e chi ne è stato escluso?

Per facilitare l’accesso ai finanziamenti e garantire il successo delle iniziative, la pianificazione al livello del quartiere deve rapportarsi e coordinarsi con quella municipale, quella regionale e nazionale. Questo approccio multilivello deve anche riflettersi in “politiche integrate”, ovvero politiche che prendono in considerazione settori di intervento, punti di vista e interessi differenti. In questo senso non si può parlare di rigenerazione se non si affronta il tema della casa, del lavoro o della scuola.

Un’esperienza che riassume questo modo di fare urbanistica in condizioni di marginalità è quella dei Contrat École di Bruxelles[9]. L’iniziativa prende le mosse dalle scuole situate nei quartieri con maggiori difficoltà sociali e favorisce una rigenerazione estesa, grazie al dialogo costante con gli attori locali. Il progetto è risultato nella costruzione non solo di nuovi campi sportivi, parchi e piazze, ma anche di nuove forme di cittadinanza proattiva.

Tuttavia, i progetti di rigenerazione, pur mirando a ridurre la marginalità sociale e spaziale, spesso si rivelano contraddittori, finendo per mettere in moto dinamiche di gentrificazione. Questo fenomeno, frutto dall’aumento dei valori immobiliari a seguito di progetti urbanistici, minaccia la permanenza dei residenti più fragili disegnando paesaggi dell’espulsione. Se, come sostiene Pierciro Galeone[10],  le “sacche di marginalità” sono spinte altrove allora la marginalità urbana, intesa in riferimento al modello del centro-periferia, non è risolta ma solamente sottoposta ad un continuo spostamento verso fuori.

D’altra parte, in contrasto all'approccio che enfatizza la necessità di strutturare un dialogo tra margine e centro, emergono visioni alternative.

Le periferie e la città pubblica hanno storicamente dato spunto al disegno, almeno su carta, di utopie che hanno proposto un’idea di periferia non per forza connessa al centro. Piuttosto questa è stata vista come uno spazio autonomo dove realizzare modelli urbani, politici e sociali inediti. Le utopie in un certo senso negano il dialogo e la dipendenza dal centro, sciogliendo completamente il binomio centro-periferia.

Molto diffuse nel Novecento le visioni utopiche ritornano oggi proponendo i luoghi della marginalità come territori per la sperimentazione di modi di vivere comunitari, sostenibili e solidali. In questo contesto, gli ambiti di marginalità urbana possono incarnare le utopie contemporanee, tra cui l'ideale dell'ecovillaggio urbano.

Concludiamo, dunque, con un invito ad un esercizio intellettuale, anche chiamato utopia[11]. Suggeriamo di provare ad immaginare, a partire dagli ambiti di marginalità urbana, scenari, paesaggi e modelli inediti, cercando di guardare alle periferie come arene di possibilità inesplorate e meno come realtà descritte a partire dal centro.

Maria Vittoria Princigalli è studentessa magistrale del corso Politics and Policy Analysis all’università Bocconi

Matilde Monti è studentessa magistrale del corso Urban Planning and Policy Design al Politecnico di Milano


[1] Citazione da: Pozzi, G. (2019). Margini. pratiche, politiche e immaginari. Tracce Urbane, 3(5), 6–24. https://doi.org/10.13133/2532-6562_3.5.15461

[2] Lefebvre, H., & Bononno, R. (2003). The Urban Revolution. University of Minnesota Press. http://www.jstor.org/stable/10.5749/j.ctt5vkbkv 

[3] Cognetti, F., Gambino, D., & Faccini, J. L. (2020). Periferie del cambiamento. Traiettorie di rigenerazione tra marginalità e innovazione a Milano.

[4] Aceska, A., Heer, B., & Kaiser-Grolimund, A. (2019). Doing the City from the Margins: Critical Perspectives on Urban Marginality. Anthropological Forum, 29(1), 1–11. https://doi.org/10.1080/00664677.2019.1588100

[5] Cognetti, F., & Calvaresi, C. (2023). La rigenerazione urbana è apprendimento. Tracce Urbane. Rivista Italiana Transdisciplinare Di Studi Urbani, 9(13). https://doi.org/10.13133/2532-6562/18372

[6]Molinari, P. (2021). Le periferie urbane europee in una prospettiva geografica: definizioni, narrazioni, politiche,in Locatelli A.M., M. P. B. C. M. N. (ed.), Periferie europee. Istituzioni sociali, politiche, luoghi - Tomo 2 [http://hdl.handle.net/10807/187265]

[7] Grassi, P. (2019). Note al margine. Scrittura e riscrittura tra campi periferici ed etnografie. Tracce Urbane, 5, 189–202. https://rosa.uniroma1.it/rosa03/tracce_urbane/article/download/14564/14922/29414

[8] mappingsansiro.polimi.it

[9] Per approfondire https://perspective.brussels/fr/projets/contrat-ecole

[10] Galeone, P. (2021) Confini mobili: le periferie urbane tra marginalità e innovazione, La nuova centralità della dimensione urbana in PERIFERIE EUROPEE Istituzioni sociali, politiche, luoghi.

[11] ​​Pigmei, V. (2017, January 3). Le piccole utopie contemporanee degli ecovillaggi. Internazionale. https://www.internazionale.it/reportage/valentina-pigmei/2016/12/26/italia-ecovillaggi-utopia