Franco Broccardi, partner dello Studio Lombard DCA, e Marco D'Isanto, dottore commercialista, entrambi esperti di ICC, sono intervenuti su Il Sole 24 Ore sulle questioni ancora aperte prima della pubblicazione del decreto attuativo entro l'11 aprile.

Dopo anni di incertezza e di “limbo normativo”, le Imprese Culturali e Creative (ICC) stanno finalmente venendo alla luce trovando una disciplina propria.
Ripercorrendo brevemente la storia degli scorsi anni, si ricorda che la qualifica di Imprese Culturali e Creative ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento italiano con la Legge di bilancio 2018[1], che ha fornito una definizione di ICC e ha introdotto un credito d’imposta in loro favore. Doveva poi seguire un decreto del Ministro della Cultura per definire criteri e procedure per il riconoscimento di tale qualifica, adeguate forme di pubblicità e un coordinamento con il Codice del Terzo settore, così come le disposizioni applicative dell’agevolazione fiscale. Tuttavia, per più di cinque anni non è stato approvato alcun decreto. Nel 2020 si è arrivati vicini all’approvazione di un disegno di legge[2] che definisse una cornice normativa più organica per le ICC, ma i lavori si sono interrotti per le urgenze connesse alla pandemia.

Ed ecco che arriviamo così a dicembre dell’anno scorso e all’approvazione della legge recante “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”[3], che contiene ben quattro articoli dedicati alle Imprese Culturali e Creative. Nello specifico, la legge definisce le modalità e le condizioni del riconoscimento della qualifica di ICC (art. 25), istituisce un albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale presso il Ministero della Cultura (art. 26), stabilisce l’erogazione di contributi a sostegno di questa tipologia di imprese (art. 29) e l’adozione di un piano triennale per la loro promozione e crescita (art. 30). Mancano ora da scrivere i decreti attuativi, per cui sono iniziati i lavori con il coinvolgimento anche dei rappresentanti di settore, e che dovranno diventare definitivi entro l’11 aprile.

Durante i primi incontri del percorso partecipato di scrittura dei decreti, le principali istanze sollevate dagli operatori dell’industria culturale e creativa hanno riguardato principalmente l’insufficienza del fondo messo a disposizione dal Ministero (3 milioni di euro all’anno per 10 anni) e la possibilità di introdurre nuove forme di supporto a questa tipologia di imprese (ad esempio l’estensione dell’Art Bonus e l’introduzione di incentivi per l’accesso al credito).

Noi riteniamo però che innanzitutto sia necessario chiarire alcuni aspetti legati alle modalità e alle condizioni del riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa nonché alle ipotesi di revoca, aspetti che saranno disciplinati con decreto del Ministro della cultura adottato di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy.

L’articolo 25 della L. 206/ 2023 recita che è Impresa Culturale e Creativa qualunque ente, indipendentemente dalla sua forma giuridica, nonché il lavoratore autonomo che svolge:

a.     attività stabile e continuativa con sede in Italia (o in uno degli Stati membri dell'UE o degli Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo, purché soggetto passivo di imposta in Italia);

b.     in via esclusiva o prevalente:

·       una o più delle seguenti attività: ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione e gestione di beni, attività e prodotti culturali.

·       oppure, attività economiche di supporto, ausiliarie o comunque strettamente funzionali all'ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali.

Viene chiarito che l’ente può assumere qualsiasi forma giuridica disciplinata nel libro V del Codice civile, nonché la forma di lavoratore autonomo. Inoltre, purché svolga un’attività prevalentemente in forma di impresa, anche gli Enti del Terzo Settore, potranno assumere la qualifica di ICC.

Il legislatore si preoccupa poi di dare una definizione di “beni culturali”, rimandando al codice dei beni culturali e del paesaggio, e di “attività e prodotti culturali”, identificandoli come “beni, servizi, opere dell'ingegno, nonché  i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design,  arti  visive, spettacolo dal vivo, patrimonio culturale materiale e immateriale, artigianato artistico, editoria, libri e letteratura”.

Restano da chiarire alcuni punti molto importanti.

Innanzitutto, è da definire cosa si intende per attività svolta “in via prevalente”. Nel decreto legislativo relativo alle imprese sociali[4] si definisce attività svolta “in via principale” l’attività per la quale i relativi ricavi siano superiori al 70% dei ricavi complessivi. Oppure s’intende l’attività dalla quale deriva, nel corso del periodo d’imposta, il maggiore ammontare di ricavi o di compensi? In questa prospettiva bisogna anche disciplinare il caso di imprese che esercitano più attività. il

Il secondo punto che merita una precisazione è relativo alle “attività economiche di supporto, ausiliarie o comunque strettamente funzionali all'ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali”. Cosa si intende per “attività di supporto, ausiliarie e strettamente funzionali”? Si tratta di un interrogativo fondamentale per capire fino a che punto si estende la catena del valore delle organizzazioni culturali e creative.

Il terzo punto è relativo alle «attività e prodotti culturali».  Esse vengono definite come beni, servizi, opere dell'ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design, arti visive, spettacolo dal vivo, patrimonio culturale materiale e immateriale, artigianato artistico, editoria, libri e letteratura.

Il concetto di inerenza supera di per sé l’individuazione delle attività sulla base dei codici ATECO e proietta l’individuazione dell’attività sulla base di un profilo qualitativo.

La qualifica di ICC è subordinata infatti allo svolgimento delle attività economiche in campo culturale a prescindere da qualunque riferimento alla tassonomia ATECO. Diventa pertanto decisivo qualificare il concetto di inerenza nonché quelli sopra richiamati (supporto, legame funzionale…etc) al fine di delimitare il perimetro applicativo della norma.

L’ultimo aspetto che merita attenzione è la definizione delle modalità e delle condizioni del riconoscimento. Fermo restando che il comma 8 dell’articolo 25 prevede che le camere di commercio, istituiscono nel registro delle imprese una sezione speciale in cui sono iscritte le  imprese culturali e creative, restano da definire le condizione per ottenere l’iscrizione.

Allo stato attuale nel nostro sistema giuridico sono previste diverse qualifiche giuridiche di cui si elencano le più significative: Impresa Sociale (D. Lgs 112/2017), Società sportiva Dilettantistica (D. Lgs 36/2021), le società Benefit (Legge 28 Dicembre 2015, N. 208), le Start-up innovative comprese quelle a vocazione sociale (Decreto-Legge 179/2012 modificato dalla legge 11 febbraio 2019 n. 12) e la qualifica di Ente di Terzo Settore (D. Lgs 117/2017). Elemento centrale, comune a tutte le qualifiche esaminate, è l’obbligo di prevedere nel proprio atto costitutivo e statuto lo svolgimento di una precisa attività, la presenza di determinati requisiti in sede di accesso e un meccanismo di controllo per la verifica del mantenimento dei requisiti.

Le start-up innovative ad esempio devono non solo possedere ma dichiarare, in sede di iscrizione in Camera di Commercio, il possesso dei requisiti: “…..depositano presso l'Ufficio del registro delle imprese, di cui all'articolo 2188 del codice civile, una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dal comma 2 (art. 25 comma 3 Decreto-Legge 179/2012).

Ai fini del mantenimento dei requisiti, il rappresentante legale delle start-up o dell’incubatore certificato, “entro 30 giorni dall'approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio… attesta il mantenimento del possesso dei requisiti previsti rispettivamente dal comma 2 e dal comma 5 e deposita tale dichiarazione presso l’ufficio del registro delle imprese”.

Le Imprese Sociali depositano il Bilancio sociale in cui attestano il perseguimento delle finalità sociali e sono addirittura sottoposte a controllo interno (obbligo di nomina del sindaco) e a controllo pubblico (da parte del Ministero del Lavoro).

Nel caso delle ICC, sarebbe importante prevedere un documento che descriva l’impatto sociale e culturale atteso o prodotto e che attesti lo svolgimento esclusivo o prevalente delle attività culturali e dunque la sussistenza del requisito necessario per il mantenimento della qualifica di Impresa Culturale e Creativa.

 


[1] L. 27 dicembre 2017, n. 205, art 1, comma 57. Accessibile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/12/29/17G00222/sg

[2] Disegno di legge recante “Misure per lo sviluppo del turismo e per le Imprese Culturali e Creative. Delega al governo in materia di spettacolo”

[3] L. 27 dicembre 2023, n. 206, Accessibile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/12/27/23G00221/sg

[4] D.lgs. 3 luglio 2017, n. 112