di Elena Pascolini

In questo momento storico l’attenzione al riscaldamento globale e alle azioni da intraprendere per contenerlo è molto alta e non coinvolge solo i governi ma tutte le organizzazioni e gli individui.
Ogni azione dell’uomo comporta un impatto sull’ambiente e in modo particolare porta delle emissioni, la misurazione di queste emissioni effettuata su base annuale permette di determinare gli impatti sui cambiamenti climatici e quindi sul surriscaldamento del pianeta.
Il parametro che meglio permette di determinare stimare le emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo è la carbon footprint che esprime in tonnellate di CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas a effetto serra (quali metano, protossido d’azoto, idrofluorocarburi, esafluoruro di zolfo e perfluorocarburi) associate ad esso in modo diretto o indiretto. La metodologia più utilizzata per effettuare questi calcoli è quella suggerita da Greenhouse Gas Protocol nato alla fine degli anni ‘90 dalla partnership tra il World Resources Institute (WRI) e il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) al fine di sviluppare uno standard internazionale per la contabilizzazione e la rendicontazione dei gas serra delle aziende. Oggi questa metodologia non è utilizzata solo dal mondo economico ma anche dalle istituzioni pubbliche e da tutte le organizzazioni che desiderano comprendere quale è il loro contributo al surriscaldamento del pianeta al fine di sviluppare adeguate politiche e strategie di riduzione delle emissioni.
In sintesi, le linee guida del GHG Protocol richiedono che le emissioni siano stimate distinguendo tra quelle dirette e quelle indirette, che sono quindi classificate in tre categorie.

Le tre diverse categorie sono denominate Scope:
• Scope 1
Sono le emissioni dirette da fonti di proprietà o controllate.
Le emissioni e rimozioni dirette generalmente derivano dalla combustione diretta di combustibili fossili, quali il gas (naturale e GPL) utilizzato per il riscaldamento, per il rifornimento di veicoli di trasporto e per la generazione diretta di energia elettrica. Queste fonti possono essere fisse (per es, generatori di elettricità, processi industriali) o mobili (per esempio veicoli)
Scope 2
Sono emissioni indirette derivanti dall’approvvigionamento e dalla combustione di carburanti per la produzione dell’energia elettrica o termica acquistata dall’organizzazione.
Scope 3
Le emissioni dello scope 3 sono tutte le emissioni indirette (non incluse nello scope 2) che vengono prodotte nella generazione della catena del valore dell’azienda. Anche se queste emissioni sono fuori dal controllo diretto dell’organizzazione che sta misurando la propria carbon footprint, possono rappresentare la parte più rilevante del suo inventario di emissioni di gas serra. Questa categoria include il trasporto di persone e merci, in tutti i modi (ferroviario, marittimo,
aereo e stradale). Bisogna notare però che se le attrezzature di trasporto sono diproprietà o controllate dall’organizzazione, le emissioni devono essere prese in considerazione nella categoria Scope 1 come emissioni dirette.Il Protocollo GHG divide le emissioni Scope 3 in emissioni Upstream ( a monte) e Downstream ( a valle) e le classifica in 15 diverse categorie.

Emissioni a monte
Emissioni a monte comprendono le emissioni indirette di gas serra all’interno della catena del valore dell’organizzazione e sono relative a beni e servizi acquistati e generati dal’ inizio del ciclo produttivo fino alla consegna.

Queste emissioni sono classificate in otto categorie:
o Beni e servizi acquistati
o Beni strumentali
o Attività relative a combustibili ed energia
o Trasporto e distribuzione a monte
o Rifiuti generati dalle operazioni
o Viaggi di lavoro
o Pendolarismo dei dipendenti
o Beni locati a monte


• Emissioni a valle
Emissioni a valle comprendono le emissioni di gas serra indirette all’interno della catena del valore dell’azienda relative a beni e servizi venduti ed emesse dopo che gli stessi hanno lasciato la proprietà o il controllo dell’azienda.

Le emissioni a valle rientrano in sette diverse categorie:
o Trasporto e distribuzione a valle
o Elaborazione dei prodotti venduti
o Utilizzo dei prodotti venduti
o Trattamento di fine vita dei Prodotti venduti
o Beni locati a valle
o Franchising
o Investimenti

In molte strutture non produttive, le emissioni rilevate nello scope 3 rappresentano la percentuale maggiore delle emissioni totali di tali strutture.
Il mondo culturale e l’impatto climatico.
L’impatto climatico nel mondo culturale è ancora in gran parte un punto cieco ma molti attori culturali iniziano a prendere coscienza dell’importanza di sviluppare pratiche di sostenibilità ambientale anche in ambito culturale al fine di dare un contributo attivo al superamento della crisi climatica. La cultura ha la capacità di sviluppare nuove idee, nuovi comportamenti e di promuoverli e propagarli per questo è importante che abbia un ruolo attivo anche nella lotta ai cambiamenti climatici. Oltre al confronto artistico con la crisi climatica in sé, le istituzioni culturali, gli operatori culturali e gli artisti sono sempre più alla ricerca di strumenti e metodi per allineare le proprie azioni agli obiettivi di sostenibilità ecologica in modo comprensibile ed efficace.
Ma come iniziare?
Nel 2020 la German Federal Cultural Foundation ha effettuato uno studio a cui hanno aderito 19 organizzazioni culturali che hanno provato a calcolare la propria carbon footprint secondo il GHG.
Dalla ricerca effettuata emerge che se sommiamo i risultati delle impronte di tutte le 19 istituzioni pilota, otteniamo un totale di CO2 equivalente di 20.389 tonnellate (t).
Questa quantità è suddivisa tra i tre scope secondo le seguenti percentuale: il 21% Scope 1, il 45% Scope 2 e il 33% Scope 3.
Nello scope 1, la categoria di emissioni più delle istituzioni è stata quella del riscaldamento e dei combustibili fossili (89%).
Nello scope 2, la categoria di emissioni più significativa è quella dovuta all’elettricità acquistata esternamente (64%) e al riscaldamento approvvigionato esternamente (36%).
Per quanto riguarda lo Scope 3 circa l’87% di tutte le emissioni può essere attribuito ai viaggi di lavoro e agli spostamenti del personale e, per estensione, all’area della mobilità. Solo il 13% è attribuibile alle categorie Acqua e Rifiuti. Se consideriamo le categorie di emissioni opzionali nella visione d’insieme dello Scope 3, scopriamo che i viaggi dei visitatori (28%), la mobilità dei fornitori di servizi (6%) e la logistica dei trasporti rappresentano una quota significativa.
L’aspetto più importante di questa ricerca è che la presa di coscienza della propria carbon footprint da parte delle istituzioni culturali coinvolte e lo sviluppo di strategie volte a diminuire le proprie emissioni.
I partecipanti hanno sviluppato alcune raccomandazioni suddivise tra i 3 ambiti (scope) per lo sviluppo delle strategie ambientali future. Queste proposte possono essere facilmente adattate a tutte le organizzazioni culturali.
Dall’analisi della propria carbon footprint le organizzazioni culturali possono definire politiche e strategie che portano a vantaggi economici in ambito di risparmio energetico, di utilizzo o riutilizzo delle risorse e di progettazione logistica.
Gli ambiti in cui un’organizzazione culturale può intervenire per diminuire le proprie emissioni sono molteplici. Di seguito riportiamo alcuni spunti di riflessione:

• Elettricità e riscaldamento: analisi degli impianti e delle necessità di ammodernamento degli stessi. Verifica e selezione del fornitore di energia elettrica e cercare di preferire fornitori che utilizzano energia prodotta da fonti rinnovabili.
• Parco Auto: analisi del parco auto e sostituzione di quelle con emissioni maggiori.
• Viaggi e trasferte: cercare di diminuire le trasferte di lavoro e preferire gli incontri on line. Preferire l’utilizzo dei treni piuttosto che gli aerei.
• Artisti e ospiti invitati: fornire agli artisti e agli ospiti invitati delle linee guida relative ai viaggi. Pianificare interventi di più giornate degli artisti e degli ospiti in modo da “ammortizzare “lo spostamento. Promuovere collaborazioni con altre istituzioni vicine geograficamente in modo da progettare eventi con più date.
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• Viaggi del pubblico: includere il biglietto del trasporto pubblico nel biglietto dell’evento. Installare colonnine di ricarica per le auto elettriche nel parcheggio. Fare un sondaggio tra il pubblico per raccogliere i dati su quali iniziative e miglioramenti sono rilevanti. Questi sono solo alcuni esempi di iniziative che possono essere intraprese dalle organizzazioni culturali per diminuire l’impatto ambientale dei propri eventi. Molto può anche essere fatto in ambito di gestione idrica, dei rifiuti e dei materiali utilizzati nelle performance. Conoscendo la propria carbon footprint le istituzioni culturali possono rispondere alle richieste di progettare operazioni sostenibili e rispettose dell’ambiente e migliorare la loro credibilità dimostrando la volontà di cambiare le proprie pratiche. Evitare o ridurre le emissioni di CO2 non è solo una politica culturale e climatica, ma un modo di operare vantaggioso anche dal punto di vista economico che aiuta le organizzazioni culturali a raggiungere anche gli obiettivi di sostenibilità finanziaria.

Elena Pascolini, Dottore commercialista e revisore contabile, partner dello Studio Lombard DCA. È specializzata in revisione legale, consulenza su reporting integrato e di sostenibilità.